La mostra appena conclusasi nel Padiglione della forza del divino valore nella Città Proibita di Pechino sul tema “Beauty Unites Us: China Arts from Vatican Museum” consente una riflessione sulle relazioni della Repubblica Popolare Cinese con lo Stato Vaticano, rappresentante della Chiesa Cattolica, e sulle molte vicissitudini che hanno attraversato, a partire dal 1949.
Il mutamento geopolitico in corso ha offerto in modo tangibile qualche spiraglio di novità come l’accordo per la nomina dei vescovi in Cina nel 2018 e più recentemente la presenza del Vaticano alla mostra dell’Ortocultura di Pechino nello sorso marzo con l’esposizione di un famoso scroll o rotolo di pergamena raffigurante un soggetto di arte cinese, prodromo di Beauty Unites Us, che constava di 76 opere di arte popolare, buddista e cattolica che aveva come scopo “una geopolitica della fraternità” incentrata sul rispetto delle identità e sul coraggio delle alterità: parole molto significative del Segretario di Stato, cardinale Parolin.
Poco tempo dopo dell’atto di nomina di Qu Dongyn, quale Direttore Generale della FAO, prima volta di una personalità cinese a ricoprire questo incarico nell’organizzazione delle Nazioni Unite, vi e’ stato uno scambio di saluti con Papa Francesco, come documenta una foto apparsa sul South China Morning Post.
La prima impressione che ha suscitato la mostra nella Città Proibita è di una radicata inclusività nei secoli passati che aveva permesso il diffondersi della religione cattolica nella Cina imperiale attraverso i Gesuiti con Matteo Ricci quale caposcuola e lo scambio culturale soprattutto nel mondo dell’arte e della teosofia.
Un esempio è l'arte di uno dei pittori più celebrati Wu Li, il quale nel momento di transizione dalla dinastia Ming a quella Qing, ha allargato il suo orizzonte intellettuale convertendosi ed accettando l’ “ insegnamento dell’occidente” che significava studio della lingua latina,attività di conversione e di proselitismo con enormi difficoltà nel percorso e dedizione alle arti diventando, fra l’altro, uno dei “ Sei grandi maestri della dinastia Qing”; per non parlare del suo talento artistico anche come poeta.
Un altro personaggio che ha contribuito addirittura alla progettazione del Palazzo d’estate nella Città Proibita è stato Giuseppe Castiglione il quale con l’opera esposta “ Otto cavalli” mutua e contamina l’arte cinese con i tratti italiani. Castiglione, nonostante fosse stata sciolta la Compagnia di Gesù, a metà del 700, rimase presso la famiglia reale con altri coordinatori guidando l’Ufficio Astronomico e, diventato pittore di corte, disegnò la Carta Geografica completa dell’Impero.
Altri due pittori cinesi presenti nella mostra, entrambi convertitisi al cattolicesimo, sono Wang Suda e Su Hanchen, importante artista durante la dinastia Song (960-1279 ). Di Suda si poteva ammirare una rappresentazione dell’Ultima cena da non comparararsi con quella leonardesca ma ancora una volta viva testimonianza di un rapporto privilegiato con il cattolicesimo, e una Madonna con Bambino in un tipico giardino cinese che riprende i soggetti naturalistici di Hanchem.
Esempi più reecenti di questa contaminazioni culturali sono stati vent’anni fa la rappresentazione, a cura del Maggio Fiorentino, della Turandot nella Città Proibita con la regia di Zhang Yimou e la direzione orchestrale di Zubin Mehta e ancora prima le icastiche riprese di Bertolucci nell’Ultimo Imperatore.
La contaminazione culturale induce una riflessione sulla Cina e sui suoi rapporti con il mondo esterno.La tradizione e la consuetudine che fanno da contrappunto alla tecnologia del 5G e all’Intelligenza artificiale sarà la sfida del futuro o del presente immediato per coloro che vorranno operare in Cina o per le aziende che hanno in programma di investire ancora in questo Paese. Attualmente è difficile una ricetta generalista ma ognuno che desidera dialogare e vivere in Cina deve porsi alcuni interrogativi se non considera questo luogo solo come un posto di transito.
Nel testo di Emilio Gentile “Ascesa e declino dell’Europa nel mondo“ l’autore afferma che nel 1800 l’Europa controllava il 35% dei territori mondiali sino a giungere nel 1914 quando ne controllava l’85%. Oggi praticamente non controlla più territori e il quadro delle nazioni e’ completamente stravolto con Stati Uniti, Cina, India e Sud America. Questa mostra può essere intesa come una lezione di avvicinamento.
* Vive e lavora a Shanghai da oltre 20 anni. È managing director di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica