MENU
Politica

La crisi in Kazakistan minaccia gli interessi cinesi sulla Belt & Road

Pechino potrebbe essere indotta, suo malgrado, a sostenere l'economia del paese dell'Asia centrale sia per contenere l'espansionismo russo nell'area sia per garantire la sicurezza sulla Via terrestre della Seta che in Kazakistan ha uno dei suoi snodi più importanti. Ecco l'analisi dell'esperto pubblicata sul South China Morning Post


10/01/2022 15:14

di Alessandro Arduino*

settimanale

Lo scorso 3 gennaio, il presidente cinese Xi Jinping ha scambiato messaggi celebrativi con il presidente del Kazakistan Kassym-Jomart Tokayev e il padre fondatore del Paese, Nursultan Nazarbayev, per celebrare il 30° anniversario dei legami diplomatici tra i due Stati. Solo due giorni dopo, il Kazakistan era in fiamme. L'improvviso picco nei prezzi del gas di petrolio liquefatto in quella che una volta era considerata tra le più stabili Repubbliche ex-sovietiche dell'Asia centrale ha innescato rivolte sedate nel sangue, con possibili ripercussioni oltre i confini dello stato.

Il 6 gennaio si vedeva la gente camminare vicino al sangue sul prato ai lati della strada nel centro di Almaty. Gli scontri sembrano aver colto di sorpresa i più, ma si dimentica che la violenza in Kazakistan non è una novità. Uno dei peggiori episodi ha avuto luogo nel 2011, nella città occidentale di Zhanaozen, quando almeno 14 manifestanti furono uccisi dalla polizia a seguito di uno sciopero degenerato in violenza. Zhanaozen sembra essere l'epicentro delle attuali proteste per l'aumento dei prezzi del carburante.

Tuttavia, la Cina non ha dimenticato. Durante gli scontri passati, i leader di Pechino hanno contato su Nazarbayev per affrontare i problemi sorti lungo il confine di 1.780 km tra i due Paesi. Ora, invece, il Kazakistan chiede aiuto alla Russia. A peggiorare le cose, questa nuova fase minaccia un interesse ancora più vitale per la Cina: oltre ad essere un fornitore strategico di risorse naturali per il Paese, il Kazakistan è anche un punto di accesso chiave per la parte terrestre della Nuova Via della Seta.

Pechino considera il suo vicino un perno per la Belt and Road Initiative (BRI). Non è stato un caso che Xi Jinping abbia presentato l’idea del collegamento terrestre della BRI durante una visita di stato in Kazakistan nel 2013. I disordini a lungo termine in Kazakistan potrebbero significare un disastro economico per gli altri Paesi dell'Asia centrale senza sbocco sul mare, già alle prese con la pandemia da COVID-19.

Peggio ancora, potrebbe creare un effetto domino che coinvolge altri Paesi meno stabili della regione, come il Tagikistan e il Kirghizistan. Questo getterebbe seri dubbi sulla fattibilità dei collegamenti terrestri e delle rotte di approvvigionamento energetico della BRI, che collegano il gas del Turkmenistan e le riserve di petrolio del Kazakistan alla Cina attraverso lo Xinjiang, la provincia più occidentale del Paese.

Il protrarsi dei disordini in Kazakistan, inoltre, potrebbe far deragliare l'avanzamento dei legami bilaterali e l'approfondimento della cooperazione BRI tra le due parti, compresa la tanto discussa partnership strategica globale permanente tra Cina e Kazakistan.

Esiste un’ulteriore preoccupazione per la Cina: la prospettiva di essere trascinata a fornire sicurezza al Kazakistan per proteggerne investimenti e cittadini. Questo è un processo che potrebbe alienare i kazaki e portare la Cina in conflitto con la Russia. Mosca si è già spostata nel Paese.

Tra le truppe inviate, ci sono quelle di una brigata Spetsnaz. Inoltre, per la prima volta dalla sua nascita, l'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), un blocco di sicurezza guidato dalla Russia, ha accettato di schierare forze militari per sostenere un alleato.

Secondo un comunicato dell’Organizzazione, le forze di pace stanno entrando in Kazakistan per "stabilizzare e normalizzare la situazione per un periodo limitato". Anche se Tokayev ha richiesto l'intervento delle forze di pace del CSTO, il fatto che queste abbiano deciso di rispondere alla chiamata solleva dei sospetti.

L’Organizzazione ha molto spesso preferito rimanere in disparte quando esplodono questi conflitti, rifiutandosi di intervenire, come nel 2010, durante gli scontri etnici in Kirghizistan, e più recentemente durante la guerra di 44 giorni tra Armenia e Azerbaigian.

Ora, la presenza delle truppe russe nel territorio sta alimentando una vecchia paura, quella di un ritorno permanente nella regione da parte di Mosca. Già si teme che Vladimir Putin stia usando i disordini per riaffermare l'influenza russa nelle ex Repubbliche sovietiche. Se questo si dimostrasse vero, si scontrerebbe con i piani a lungo termine della Cina per la regione.

Inoltre, le truppe da sole non possono stabilizzare la situazione. Sarà necessario anche un sostegno economico, ma questo va oltre i modesti mezzi di Mosca. Similmente, la Turchia, anch'essa un importante partner economico nella regione e membro insieme al Kazakistan del Consiglio di cooperazione dei Paesi turcofoni, non è in grado di riempire questo vuoto, data la sua crisi economica.

Il compito ricadrebbe quindi sulla Cina. Ma anche Pechino ha i suoi problemi economici, dato che le sue imprese statali coinvolte nei progetti BRI stanno vedendo un calo dei profitti che porta le banche statali a una stretta sulle linee di credito.

In effetti, il Kazakistan è diventato solo l'ultimo di una lista di guai crescenti per la Cina nell’Asia centrale e meridionale. La lista include Afghanistan, Pakistan e India. L'inaspettata crisi in Kazakistan è un'altra distrazione di cui Pechino non ha davvero bisogno, in un momento in cui deve fare i conti con la rivalità strategica degli Stati Uniti, con una percezione sempre peggiore della Cina in Occidente e con il rallentamento della crescita economica.

Tuttavia, se Pechino non riesce a fornire sostegno economico ora, potrebbe presto dover pagare un prezzo ancora più alto in seguito. La crisi in corso in Kazakistan è il risultato di una distribuzione ineguale delle risorse e delle conseguenti inefficienze, un problema che colpisce molte delle Repubbliche dell'Asia centrale.

Non è irragionevole pensare che le proteste potrebbero diffondersi. Il pugno di ferro della Russia usato contro qualsiasi problema potrebbe sedare temporaneamente le rivolte, ma gli effetti negativi a lungo termine potrebbero portare instabilità direttamente al confine occidentale della Cina, un'area già segnata da scontri etnici, costringendo Pechino ad agire.

Come sempre, i piani meglio preparati tendono a sgretolarsi al primo contatto con la realtà. La Cina lo ha sperimentato recentemente in Afghanistan, nonostante il suo pubblico gongolare per il frettoloso e caotico ritiro degli Stati Uniti l'anno scorso. Le violenze in Kazakistan minacciano di costringere Pechino a distogliere lo sguardo dall'Occidente e rivolgerlo sempre più al suo confine occidentale. (riproduzione riservata)

*principal research fellow presso il MEI - National University of Singapore e co-direttore Security & Crisis Management International Center, Shanghai Academy of Social Sciences (SASS)


Chiudi finestra
Accedi