Nonostante gli ostacoli, l’aumento dei costi, un 2022 al di sotto delle aspettative nei fattuturati, per le aziende italiane la Cina continua a essere il luogo dove stare e da non lasciare. Dopo un anno contraddistinto dalla recrudescenza del Covid nella Repubblica popolare e un quadro di accesso agli incentivi reso più complicato per le imprese straniere, appena il 3% delle aziende sondate dalla Camera di commercio italiana in Cina ha deciso di uscire dal mercato cinese. Al contrario, per il 60% delle società italiane la Cina continua a essere un terreno fertile per il proprio business.
L’ipotesi di uscita dalla Via della Seta
Qualcosa, forse, potrà cambiare qualora il governo di Giorgia Meloni decidesse di tirarsi indietro dall’adesione alla Belt & Road Initiative, comunicando entro dicembre la volontà di non rinnovare il memorandum d’intesa siglato nel 2019. «È una decisione che ancora non abbiamo preso», ha ribadito la premier che dal 19 al 21 maggio sarà a Hiroshima per il vertice del G7 e che in quell’occasione potrebbe essere pressata dai partner affinché faccia il passo.
Per stessa ammissione di Meloni la situazione «è delicata» e richiama «dinamiche internazionali». Di certo può coinvolgere gli imprenditori oltre Muraglia, alcuni dei quali hanno beneficiato di alcuni dei frutti del memorandum, come i finanziamenti a valere su 120 milioni di euro in Panda bond (titoli in yuan sul mercato cinese) emessi da Cassa Depositi e Prestiti per sostenere la loro crescita nel Paese.
Brembo e Radici si allargano
In parallelo c’è l’attività delle realtà che nella Cina di Xi Jinping continuano ad espandersi. L’ultimo esempio in ordine di tempo è l’investimento da 35 milioni del gruppo Radici, produttore di intermedi chimici, polimeri, fibre sintetiche, per un nuovo stabilimento a Suzhou, inaugurato lo scorso 21 aprile e che permetterà di raddoppiare la capacità produttiva e rafforzare la presenza in Asia.
Anche nei piani Brembo la Cina gioca un ruolo chiave. Assieme a Messico e Polonia, la Repubblica popolare è una dei tre Paesi centrali della strategia d’investimento e vedrà l’ampliamento del sito di Nanchino.
«Risulta sempre più importante prevedere una presenza stabile sul territorio cinese, sia per servire in maniera più efficiente il mercato interno localizzando la produzione, sia per garantirsi una base strategica da cui condurre operazioni nei mercati dell’Asia orientale e del Sud-est asiatico», si legge nell’ultimo rapporto annuale di Italy China Council Foundation (Iccf).
Dalle chiusure per bottiglie ai filtri
Risale ad agosto dello scorso anno l’accordo siglato da Guala Closures, specializzata in chiusure per bottiglie di alcolici, vini, acqua, per uno stabilimento a Chengdu, nella provincia del Sichuan. Valore dell’investimento 200 milioni di yuan, circa 29 milioni di euro. La struttura si estende per 13.800 metri quadrati e impiegherà 110 dipendenti.
A dicembre il gruppo di Forlì Motion aveva dato l’avvio ai lavori del nuovo stabilimento di Heshan. Con una superficie di 50mila metri quadri sarà l’impianto più grande del gruppo di componenti elettronici per divani e poltrone e nei progetti contribuirà a triplicare la capacità produttiva.
Sempre vicino a Suzhou, a Zhangjiagang, il gruppo Stevanato ha iniziato nel 2022 i lavori di ammodernamento di una struttura destinata a ospitare la produzione di soluzioni medicali come siringhe e flaconi pre-sterilizzati. Un’operazione parte dell’ultima fase della quotata Nasdaq in Cina.
Serve un ulteriore salto indietro con la memoria per trovare altri casi. A giugno 2021 Goglio, con il sostegno di Cassa Depositi e Prestiti ha lanciato un nuovo piano di investimenti, da oltre 15 milioni di euro, della Tianjin Packaging, la controllata cinese costituita nel 2004 in partnership con Simest, attiva sul mercato asiatico attraverso uno stabilimento a Tianjin dove sono prodotti grandi sacchi per il confezionamento di semilavorati di frutta a uso industriale.
E a dicembre dello stesso anno Uif Filter, mini-multinazionale mantovana di impianti di filtraggio, tra i beneficiari dei Panda bond, si era accordata con il Comitato Amministrativo del Parco Industriale high-tech di Jiaxing Xiuzhou, nella provincia di Zhejiang, per la costruzione di un nuovo stabilimento da 25 milioni di euro.
Completano il quadro l’acquisizione del 55% di Fen Wo Shanghai fatta dal gruppo Sesa e la scelta della veneziana Piovan, attiva nei sistemi di trattamento della plastica, di rendere la sede di Suzhou il riferimento di tutte le filiali del gruppo in Asia, dalla Thailandia, al Vietnam passando per Corea del Sud e Giappone.
L’ipotetica uscita di Roma dalla nuova Via della Seta potrebbe cambiare le carte in tavola. Le ripercussioni di una tale scelta sono tutte da valutare. Ma Via della Seta o no, Pechino vuole separare affari e politica. (riproduzione riservata)