Il binario lungo il quale si è mosso nei giorni scorsi il Congresso del Popolo, ormai conclusosi, è quello descritto nel documento dall’emblematico titolo: “Sei fronti e Sei aree”.
Molti si saranno chiesti perchè è stato scelto il numero sei che, come si sa, e mi permetto di suggerire una possibile lettura, non è una casualità dovuta alla semplice somma delle azioni ma trova fondamento nella simbologia della scienza cosmologica e divinatoria a partire dalla dinastia Xia nel 2200 a.c.
Avevamo già avuto una prova di questa liason con la storia, durante il discorso e la parata del primo di ottobre 2019, in occasione della celebrazione del 70’ anniversario della fondazione della Repubblica Popolare; questa volta è un rimando all’esagramma che veniva immaginato nel carapace della tartaruga, uno dei quattro animali sacri con la fenice, l’unicorno o rinoceronte e il drago, e utilizzato, come una sorta di aruspice, per leggere il futuro nei suoi aspetti più critici ed importanti per l’impero cinese. La tartaruga rappresentava anche il potere militare.
Il fatto che non sia stata resa pubblica la stima del pil per l’anno in corso trova un riscontro e una ragione nel voler rifocalizzare l’action plan su situazioni domestiche piuttosto che varcare la linea dell’orizzonte ovvero puntare ai rapporti multilaterali con prospettive diverse.
I Sei fronti su cui sarà impegnato il governo sono l'occupazione, settore finanziario, commercio con l’estero, investimenti stranieri, investimenti domestici e un vago riferimento alle aspettatative generali.
Relativamente al Paese Cina si parla nell’ambito delle Sei aree di Sicurezza sul lavoro, riduzione della povertà, riorganizzazione dei soggetti operanti sul mercato, sicurezza nel cibo e nell’energia, stabilità industriale e supply chain e, infine, organizzazione del primo livello dell’Amministrazione statale.
Quello che salta all'occhio con evidenza nel documento è che al resto del mondo non si fa riferimento in modo dettagliato e determinato, a parte la generica menzione al miglioramento del commercio con gli Stati Uniti, che registra l’acquisto seppur in misura ridotta di derrate alimentari, ma di fatto si scontra con quanto sta accadendo in questi giorni su fronti diversi, e l’accenno agli investimenti esteri con l’auspicio di una miglior collaborazione con Corea del Sud e Giappone.
L’attenzione è quasi totalmente rivolta all’obiettivo del miglioramento del Paese in tutte le sue sfaccettature.
È su questo cambio di rotta che occorre ragionare e che aiuta a comprendere il sostrato della politica e della geopolitica di Pechino tornando con la memoria storica agli anni 1991-1995 coevi all’Ottavo Piano quinquennale.
A quel tempo, confermata la coesistenza dell’economia di mercato con quella centralista statale, si era proceduto sulla strada delle riforme e i programmi di apertura con i Paesi terzi fissando inizialmente il GDP al 6% per poi ”buttando il cuore oltre l’ostacolo”, rivedendolo al 12%.
Ed è soprattutto dal 1996 che vengono privilegiati l’export e gli investimenti stranieri compatibilmente con il soft power del Governo centrale.
Il resto del tempo è stato segnato da una continua crescita fino al 2018 quando, soprattutto per cause insite nell’economia globale, è iniziata una discesa che ha avuto l’epilogo lo scorso anno con una creescita del pil al 6,1%.
Questa lunga cavalcata nella prateria sconfinata dei fondamentali economici ha portato la Cina ad essere la seconda economia mondiale e di questo status ne ha beneficiato rafforzandosi nella tecnologia digitale e diventandone in questo settore leader assoluto.
La mossa apparentemente centripeta del Governo centrale, dovuta alla pandemia e all’erosione dei fondamentali economici in stretta correlazione con la situazione mondiale ha di fatto modificato la rotta verso le decisioni dispiegate all’inizio di questo testo.
L’agenzia Xinhua, ha ripreso in questi giorni un’importante dichiarazione del Presidente Xi Jimping che può far comprendere quale direzione avrà la costruzione del nuovo Piano Quinquennale, il 14°, che verrà pubblicato nel marzo del prossimo anno: “Per il futuro dobbiamo focalizzarci sulla domanda interna come punto di partenza e come punto di appoggio per poter accelerare la costruzione di un sistema completo di consumo domestico e dobbiamo promuovere l’innovazione nelle scienze, nella tecnologia e in altre aree”.
In particolare, se si analizzano le azioni concernenti il consumo domestico se ne ricava un’attenzione prioritaria alle aree rurali, corrispettivo dell’obiettivo di riduzione delle sacche di povertà ancora esistenti, all’integrazione e supporto del consumi online/offline.
Ma non si deve che della classe media, composta da oltre 400 milioni di persone, 100 milioni di turisti nel 2019 avevano trasvolato e navigato in giro per il mondo ed avevano dirottato gli acquisti su grandi brand nel settore fashion prodotti prevalentemente in Cina.
Venendo meno questa mobilità si assiste a quella che viene definita “crisi simmetrica” e cioè mancanza sia di produzione che di consumo. Con l’occhio rivolto al mondo si dovrà, quindi, considerare da un lato il rimpiazzo dei consumi in Europa ed in America di quello che valeva la spesa media procapite di un turista cinese, oltre 2 mila euro, e dall’altro un orientamento in Cina a consumare lo stesso quantitativo di prodotti comprati all’estero.
Non penso che questa sia possibile in quanto soprattutto le vendite di fast fashion, secondo una stima McKinsey dovrebbero diminuire nel 2020 del 30% non bilanciate dalle vendite online.
Mi sono soffermato solo su questo aspetto per esprimere dubbi sulle nuove modalità dei consumi direttamente interconnessi con il mantenimento dei livelli occupazionali.
Sempre per continuare nella dichiarazione sopra riportata si afferma che Pechino si sta muovendo nella direzione di rinunciare alla strategia di “grande libera circolazione internazionale” adottata come si diceva sopra dal 1991 e che ha dato carburante per la crescita di questi anni.
Forse per la nostra visione queste dichiarazioni appaiono come contraddizioni ma ben spiega la sinologa Renata Pisu:”.. dal parlante cinese come viene intesa la contraddizione? Come irrisolvibile? Sì, se si ragiona secondo la nostra logica; no, se si affronta il quesito alla cinese, articolandolo... Forse così le contraddizioni si possono percepire non come irriducibili, ma piuttosto come alternative, a seconda del punto di vista che si vuole privilegiare. Perchè la relatività è pur sempre una bella cosa”. R. Pisu, Né Dio né legge, pag 149.
Per chi opera in Cina e con la Cina è necessario quindi prepararsi per questa nuova sfida epocale.
*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni