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Politica

La stretta di Pechino pesa sui Paperoni cinesi, persi 87 miliardi

Da luglio persi 2,1 miliardi al giorno per un totale di 87 miliardi. Ma la redistribuzione della ricchezza è inceppata e per ogni Creso impoverito, un altro si arricchisce. Vincono i magnati dell'automotive e delle rinnovabili


10/08/2021 12:02

di Giulia Talone - Class Editori

Jack Ma

Per i miliardari cinesi è tempo di tirare la cinghia. D'altronde i paperoni del settore tech e biotech da inizio luglio hanno visto i loro portafogli alleggerirsi di 2,1 miliardi di dollari al giorno: in totale hanno perso 87 miliardi in un mese e mezzo, ovvero da quando la scure di Pechino si è abbattuta per la prima volta su Didi.

Lo stop all'Uber cinese da parte del partito Comunista è stato solo il primo tassello di un lunghissimo domino che si trascina avanti ancora oggi. Prima l'inasprimento dei controlli sulle matricole quotate all'estero, che hanno raffreddato la corsa all'ipo a Wall Street, poi la risposta degli States, che hanno inserito 10 nuove società cinesi nella blacklist oltre a emettere un warning sui rischi per le aziende Usa di operare a Hong Kong.

Senza dimenticare le nuove regole che proprio Hong Kong vuole imporre contro il doxing (pratica di diffondere informazioni private sui social), seguite dall'ultimatum delle big tech statunitensi: "o il governo mitiga la legge oppure ce ne andiamo". Non sono solo le aziende a subire il contraccolpo di questa rapida escalation, ma anche i loro ceo e fondatori che, stando ai dati del Financial Times, da luglio hanno perso quasi 100 miliardi di dollari.

Guardando all'indice di Bloomberg che monitora il patrimonio di oltre 20 tra i miliardari cinesi più ricchi, la fortuna combinata di due dozzine di paperoni al comando di aziende tech e biotech è scesa del 16% da inizio luglio. Ad avere la peggio è stato Colin Huang, il fondatore del sito di e-commerce Pinduoduo che ha visto il suo portafoglio alleggerirsi di 15,6 miliardi, circa un terzo della sua fortuna.

Le cose non sono andate tanto bene neanche a Pony Ma, il fondatore del gruppo Tencent, che ha perso circa 12 miliardi, ovvero il 22% del proprio patrimonio. Il numero uno del conglomerato tech, comunque, resta il terzo uomo più ricco della Cina dietro Jack Ma, che pure da qualche mese ha il conto in banca in rosso. Da fine giugno, il fondatore di Alibaba ha perso 2,6 miliardi, ma se si torna a novembre, quando la controllata del colosso e-commerce Ant Group ha rinunciato all'ipo, sono ben 13 i miliardi che mancano all'appello.

E se le perdite dei tecno-miliardari sembrano enormi, quelle dei fondatori delle società di servizi educativi sono, in proporzione, persino più alte. Basti pensare che Yu Minhong, fondatore di New Oriental Education, adesso vanta un portafoglio di "appena" 500 milioni, un sesto dei 3 miliardi posseduti a fine giugno. A far crollare la fortuna dei magnati dell'istruzione è stata, neanche a dirlo, una riforma cinese promossa a luglio, per ordine della quale le società educative dovranno avviare una ristrutturazione interna e convertirsi a organizzazioni no-profit.

Fortuna che va, fortuna che viene. La redistribuzione della ricchezza, difatti, è inceppata e per ogni Creso impoverito, un altro miliardario si arricchisce. Ad aver avuto la meglio quest'estate sono stati gli imprenditori di settori considerati più sicuri, quali rinnovabili e automotive. Ne è un esempio Wang Chuanfu, il presidente del produttore automobilistico Byd, che con circa 107 milioni di dollari guadagnati al giorno (4,4 miliardi da luglio) è diventato il decimo uomo più ricco del Paese.

Complessivamente, i nove magnati dell'industria dei motori possono vantare 22 miliardi in più sull'estratto conto da luglio a oggi, mentre i paperoni delle energie pulite hanno le tasche più gonfie di 13,6 miliardi. Dal canto suo, l'uomo più ricco della Cina, alias il capo dell'impero dell'acqua in bottiglia Nongfu Spring, Zhong Shanshan, da luglio ha ricevuto una quattordicesima da 5 miliardi di dollari e sul conto in banca ora vanta 72 miliardi.

Di sicuro, a detta degli analisti, alcuni dei più ricchi imprenditori cinesi dovranno vivere in ristrettezze, se di ristrettezze si può parlare, ancora per un po'. Secondo gli esperti intervistati dal Financial Times, infatti, non ci sono motivi validi per aspettarsi che nella seconda metà dell'anno Pechino allenti la stretta sui tecno-miliardari, o che ritiri il sostegno ai paperoni dei motori e delle rinnovabili. Quindi, ha concluso Bruce Pang, capo della ricerca di China Renaissance, se i nababbi del Dragone vorranno vedere l'estratto conto salire ancora, dovranno stare molto attenti alle mosse del partito Comunista. (riproduzione riservata)


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