La presentazione in Cina della nuova edizione del Position Paper 23/24 da parte della Camera di Commercio Europea nella settimana passata è coincisa con un susseguirsi di incontri governativi con esponenti dell’Unione Europea, culminati con la visita di Valdis Dombrovskis, Executive Vice President della EU, e al suo intervento al convegno Bund Summit, tenutosi a Shanghai il 23 settembre scorso.
Questa coicidenza, pari quasi alla comunanza di questi giorni tra la luna piena ed il profumo dei fiori di osmanto tipico della celebrazione della Festa di mezzo autunno, è servita per esternare le reciproche posizioni che peculiarmente appartengono alla Cina e all’Unione Europea.
La Camera di Commercio Europea in Cina, con i suoi 1700 associati, promuove il documento Position Paper da otto anni. Ogni anno, sulla scorta del riscontro degli associati tramite un'indagine conoscitiva, vengono evidenziate, da parte di 35 working group, le problematiche in essere per le aziende intervistate, sia reiterando quelle già presentate in precedenza, per le quali non si è ottenuta risposta, sia quelle nuove correlate a circostanze che possano pregiudicare le possibilità di operare in Cina.
Quest’anno sono ben oltre mille le raccomandazioni espresse: segno che in questi anni, forse complice la pandemia, non si sono fatti molti progressi, anzi in alcuni settori vi è stata una regressione causata da una posizione governativa differente ed in parte condizionata dagli eventi geopolitici internazionali.
Nonostante queste premesse, dall’indagine conoscitiva è emerso il dato rilevante che la Cina mantiene ancora un enorme potenziale per le aziende europee ormai radicate da tempo. Il 63% dei rispondenti tendenzialmente potrebbe condividere di espandersi ancora in questo Paese se venisse configurato un accesso al mercato trasparente ed egualitario con le imprese cinesi, in particolare con le SOE, State owned companies. Di questo 63%, circa la metà vorrebbe incrementare gli investimenti tra il 5% ed il 10% dei loro ricavi conseguiti in Cina; il 12% di essi tra l’11% e il 20% e un 10% oltre il 20%, sempre relativamente ai ricavi.
Questa istantanea dà forma al motto “China for China" che è stato enfatizzato dal Presidente della Camera Jens Eskelund.
Quali sono possibili rischi per le società multinazionali che operano in questo paese? Con le normative vigenti in termini di trasferimento dati e gestione delle risorse umane potrebbe venire a crearsi, per le società costituite secondo le normative del diritto cinese, una sorta di entità separata dalla loro casa madre, sia in termini finanziari, sia nella gestione delle risorse umane che tenderebbero a utilizzare manager locali con l’aggravante di vedersi ridotta la propria specificità e trasparenza.
Ed è per questa ragione che quest’anno è stata posta un’enfasi e un’attenzione particolare alle raccomandazioni contenute nel Position Paper. Rimane una certa incognita per i nuovi investimenti, vista la loro riduzione (FDI) negli ultimi mesi, nonostante la riapertura del dialogo anche attraverso delegazioni cinesi che hanno ricominciato a viaggiare in Europa e in Italia, in particolare. Spesso, sotto l'auspicio della Italy Council China Foundation (ICCF), attiva nell’organizzare queste opportunità di incontri economici alla presenza di imprenditori italiani.
La cornice entro la quale questo divenire prende forma è quella di un modello di sostenibilità correlata alla crescita e all’attenzione sui conseguenti costi di produzione e a quelli ambientali.
Vi sono settori, quali quello aeronautico, che ancora soffrono la mancata liberalizzazione del sistema di prenotazione elettronica (CRS – Computer reservation system), per la quale era stata espressa la volontà da parte cinese di aprirsi fin dal 2001 nell’ambito della trattativa WTO, senza alcun risultato. Così pure nel mercato finanziario per le banche straniere che rapprentano ancora una quota di mercato marginale sussistono obblighi a vincolanti compliance che riducono i campi di attività e la competitività con gli istituti di credito cinesi.
Si richiedono passi tangibili da parte di Pechino al fine di coltivare un ambiente regolato da trasparenza, coerenza e prevedibilità come strada per la ripresa. «La creazione di un mercato aperto all’interno dei propri membri è uno dei principi fondativi dell’Unione Europea», ha ribadito Dombrovkis parlando a Pechino, «siamo anche impegnati in un mercato libero e paritetico (fair) che è la parola chiave in questo Paese. Benvenuta la competizione globale ma deve essere regolata dalla trasparenza». Dombrovkis ha anche precisato che «l’Unione Europea non ha intenzione di attivare il decoupling dalla Cina. Come seconda e larga economia nel mondo, la Cina gioca il maggior ruolo in quasi tutte le catene del valore».
La partita non è semplice: da un lato l’avvio dell’indagine sui sussidi per l’auto EV in Cina che facilita una esportazione in Europa a prezzi sicuramente inferiori alle produzioni autoctone; dall’altro per le aziende europee le difficoltà ancora esistenti per i trasferimenti di know-how tra i centri decisionali e le attività cinesi, così come per gli investimenti nelle JV automobilistiche piuttosto che nel R&D.
Sono solo alcuni dei temi che dovranno trovare soluzione o compromesso. Complessivamente è stato un approccio al dialogo, anche se a distanza si percepivano le differenziazioni, ma almeno è stato manifestato un fondo di chiarezza che permetterà a entrambe le parti di prendere le reciproche misure rispetto a una serie di tematiche inequivocabilmente importanti per i futuri rapporti economici tra Europa e Cina. (riproduzione riservata)
*presidente di Savino del Bene Shanghai Co. Vive e lavora a Shanghai da 30 anni