La domanda corrente in questi giorni, in attesa della pubblicazione dei dati del secondo trimestre prevista per giovedi, è la Cina, dopo un primo trimestre negativo pari al 6,8% del suo pil, con quale forza abbia reagito e se reggerà bene l’impatto dei mesi a venire. La risposta è oltremodo importante per evitare l'impatto della cosidetta recessione tecnica, qualora si abbiano due trimestri consecutivi negativi.
Da una prima comparazione di dati il rischio sembrerebbe scongiurato. La produzione è ripresa a livelli precovid, grazie anche ai consistenti supporti delle politiche governative che includono la riduzione di tassazioni e contributi sociali per i dipendenti, quest’ultima prorogata fino al dicembre prossimo; i consumi, pur non esaltanti, hanno iniziato un’iperbole positiva, gli investimenti per le infrastrutture sono ripresi e anche l’export, compatibilmente con i differenti livelli della domanda globale, ha rialzato la testa. L’inflazione a giugno si è attestata sul 2,5% rispetto all’anno passato con l’obiettivo di mantenerla per questo anno sotto il livello del 3,5%
Anche il Shanghai Composite index, l’indice del mercato azionario, ha offerto un quadro incorraggiante con un picco di crescita di 5,7%, il più alto negli ultimi anni, che aveva nella settimana scorsa dato ossigeno al mercato azionario internazionale.
La decisione del nuovo lockdown di giugno a Pechino, a causa della chiusura del mercato di Xinfadi, ha rimesso in discussione quelli che erano dei presupposti forse ormai rimossi nei mesi precedenti a proposito della pandemia ma, nel complesso, si nota e si percepisce “l’attività quotidiana che ferve”.
Tuttavia a preoccupare sono gli warning per quanto sta accadendo nel resto del mondo, in mezzo a difficoltà in primo luogo sanitarie con un picco di contagi lo scorso 10 luglio molto elevato e repentino, il lockdown di Melbourne per sei settimane e l’esplosione in Kazakistan di un virus alquanto dissimile e, a prima vista, molto più pericoloso del Covid 19.
A questa situazione si sta aggiungendo, sul piano interno, l’estrema durata di quella che abitualmente viene indicata dai cinesi, con rassegnazione e talvolta indifferenza, la rain season. La stagione delle piogge, iniziata a maggio, sta provocando ormai da settimane in ventisette delle trentuno province danni incomparabili con 34 milioni di persone che hanno perso casa e lavoro.
L’area o meglio la parte di territorio coinvolta è quella lungo il corso dello Yangtze River che parte dalla provincia dello Jiangxi, oggi la più colpita sino ad arrivare alla provincia dello Jangsu, confinante con il territorio di Shanghai: in sostanza l'esondazione interessa un'area lunga 2500 Km, in cui sono fortemente colpite città come Wuhan e Chongqing. E le previsioni metereologiche confermano che si proseguirà ancora per qualche settimana. È dal 1998 che non si aveva una situazione analoga, ma oggi forse più drammatica.
Sul fronte economico, la decisione governativa di mantenere in vita per i prossimi tre anni tutta la struttura delle State-owned enterprises (Soe), che sono circa 130 mila, potrebbe fondare le proprie ragioni sul mantenimento dei livelli occupazionali visto il rischio di disoccupazione per circa 200 milioni di migranti. Nel rapporto predisposto per l’approvazione finale da parte della Central Comprehensively Deepening Reforms Commission si scrive “Le Soe sono le importanti fondamenta, materiali e politiche, per il socialismo dalle caratteristiche cinesi”. Decisione non accettata di buon grado da Unione Europea e USA.
I disastri naturali dovuti certamente ai cambiamenti climatici e una sorta di neoconservatorismo nelle linee guida economiche rendono quindi sempre più difficile azzardare una previsione economica su quello che accadrà a livello economico, incertezza che crea ansia rispetto a questo Paese.
Nel 1940, in piena Lunga Marcia, nel famoso discorso “Sulla nuova democrazia”, nella città di Yanan, Mao in un passaggio affermò:”Non c’è costruzione senza distruzione, non c’è sbarramento senza diga, non c’è movimento senza riposo. Nel conflitto tra vita e morte gli opposti sono sempre legati”.
In questo contesto, tenendo anche presente le difficoltà oggettive e soggettive per lavorare e vivere in Cina da parte del personale espatriato e delle famiglie - ancora oggi pochi espatriati sono rientrati in Cina dovendo osservare le ferree procedure - sarà sempre più necessario utilizzare il concetto di adattamento nell’accezione darwiniana: adattamento in primo luogo mentale e poi per fronteggiare quelli che saranno i problemi che si manifesteranno giorno dopo giorno.
Come scrive Pierluigi Fagan, analista indipendente, autore tra l'altro di "Verso un mondo multipolare" (Fazi editore): di inquadrare l’adattamento con il cambiamento in una griglia di plurali processi non riconducibili a leggi... in poche parole di considerare “l’adattamento intenzionale della volontà umana”. Solo così potremo comprendre meglio il futuro di questo Paese.
*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni