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Politica

Lega, sì all'accordo sulla Via della Seta, ma con paletti

Per Salvini l'intesa con Pechino è benvenuta se aiuterà le imprese italiane e investire all'estero. Il numero due del Carroccio, Giancarlo Giorgetti, spiega però che non dovrà creare interferenze sul posizionamento strategico dell'Italia, ossia nei rapporti gli Usa. E il capitolo telecomunicazioni dovrà essere mantenuto separato.


11/03/2019 17:53

di Mauro Romano - Class Editori

I paletti della Lega sulla Via della Seta
Matteo Salvini

Via libera della Lega alla partecipazione italiana alla nuova Via della Seta, ma con paletti ben precisi. Al termine del consiglio federale del partito, il leader del Carroccio e vicepremier Matteo Salvini ha fatto il punto sulla possibilità che entro fine mese l’Italia firmi un memorandum d’intesa con la Repubblica popolare sull’adesione dell’Italia alla Belt & Road Initiative (Bri). Il documento “dovrà  sicuramente contenere nobili intenti per migliorare le relazioni economiche e commerciali tra Italia e Cina, ma non impegni che possano creare interferenze di ordine strategico per il consolidato posizionamento del Paese”, ha spiegato il sottosegretario alla presidente del Consiglio e numero due leghista, Giancarlo Giorgetti.

Nei giorni scorsi lo stesso Giorgetti era in viaggio negli Stati Uniti. Non è un mistero che l’amministrazione statunitense stia facendo pressioni sul governo affinché riveda i termini dell’avvicinamento al progetto di sviluppo delle reti commerciali lungo l’Eurasia lanciato dai cinesi nel 2013 e considerato da Washington uno strumento per favorire l’influenza di Pechino sui Paesi coinvolti.

L’Italia potrebbe essere il primo membro del G7 ad aderire al progetto. Il percorso che potrebbe portare alla firma  è iniziato almeno due anni fa, con la presenza dell’allora presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, al vertice internazionale sulla Bri convocato a Pechino dalla dirigenza cinese. Prima ancora, con Germania, Regno Unito e Francia, l’Italia era stata uno dei Paesi alleati degli Usa ad entrare nel capitale della Banca asiatica per gli investimenti e le infrastrutture, nata per con l’intento di garantire risorse a progetti in parte connessi con l’estensione della nuova Via della Seta.

“Se si tratta di aiutare le imprese italiane a investire all’estero siamo disponibili a ragionare con chiunque”, ha aggiunto Salvini, "se si tratta di colonizzazione dell'Italia e delle imprese da parte di potenze straniere evidentemente no". Dall’accordo resteranno fuori le telecomunicazioni.  La cooperazione in questo campo è uno degli ambiti della futura collaborazione sino-italiana, almeno stando a un memo dello scorso settembre pubblicato nel fine settimana dal sito Euractiv e che a quanto si capisce potrebbe essere la cornice sulla quale impostare il memorandum.

L'Italia ha "una normativa  golden share, che potrà  anche essere migliorata, per tutelare gli interessi strategici del Paese che vengono prima di tutti gli altri", ha chiarito in riferimento agli investimenti sulla rete 5G, altro tema di frizione tra Cina e Stati Uniti, intenzionati a tagliare fuori dalla realizzazione delle infrastrutture per la nuova tecnologia i colossi del Dragone, Huawei e Zte, accusati di essere troppo legati al governo.  Per questi motivi, ha concluso Salvini, il memorandum "dovrà servire a migliorare le relazioni economiche e commerciali ma non potrà andare oltre questo confine che è l'interesse strategico del Paese"

In precedenza  rassicurazioni erano state date da sottosegretario allo Sviluppo economico, Michele Geraci, in prima linea nel tessere i rapporti con Pechino. “L’Italia si unirà al gigantesco piano infrastrutturale cinese Belt and Road’ solo dopo aver chiarito che i timori di Stati Uniti e Ue sono infondati”.

Già in un’intervista con MF-Milano Finanza aveva provato a chiarire le ragioni del MoU: “Non è un trattato internazionale, non ci sono obblighi finanziari per il governo; si tratta solo di un aiuto che vogliamo dare alle nostre imprese. La Cina ha avviato la Belt & Road Initiative per portare in Asia, Africa ed Europa investimenti in vari settori: infrastrutture, energia, green economy, trasporti. I Paesi che firmano questo memorandum - e attenzione: l’Italia non è il primo Paese in Europa, perché altre nazioni Ue hanno già firmato - potranno dare una cornice alle loro aziende, che saranno poi libere poi di decidere se e come partecipare. L’Italia è rimasta molto indietro nei rapporti con la Cina. Esportiamo per 13 miliardi, la Germania per 90. L’Inghilterra esporta il 30-40% più di noi, la Svizzera il doppio. E negli investimenti cinesi in Europa l’Italia è fanalino di coda. Non vogliamo alterare gli equilibri nell’Ue, che peraltro fa grandi affari con la Cina, probabilmente senza dirlo.


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