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Politica

Lungo la Via della Seta l'Afghanistan è un pilastro per la Cina

La riattivazione dei contratti firmati da imprese cinesi negli ultimi 10 anni per lo sfruttamento di minerali e terre rare dell'Afghanistan avrà un peso politico nella partita che si sta giocando in Asia centrale. Dove si è rafforzata l'alleanza di Pechino con il Pakistan. E con i nuovi signori di Kabul?


23/08/2021 15:07

di Marco Leporati*

settimanale
Sul confine dell'Afghanistan

Nella morfologia degli Stati confinanti in quell’enclave che a tutti gli effetti appartiene alla Via della seta, solamente 90 chilometri di confine tracciano quello che può diventare oggetto delle nuove relazioni tra Afghanistan e Cina, il cui passaggio obbligato è una lingua montagnosa denominata il Corridoio di Wakhan.

In questo gioco di intarsio contano molto di più, non solo numericamente, i cinquecento chilometri di linea di confine tra il Pakistan e la Cina. 

La morfologia geografica può essere una delle chiavi di lettura di quanto sta accadendo nell’enclave dove Cina, Pakistan e Afghanistan, dopo la dismissione volontaria dell’area da parte degli Stati Uniti, sono alle prese con una sorta di alleanza che, in primo luogo è volta ad accerchiare l’India indebolita dal suo alleato americano e in breve tempo potrebbe divenire un centro strategico sia sul piano geopolitico che su quello economico.

D'altra parte, la Cina confina con questi due paesi con la più esterna e contraddittoria provincia: quella dello Xinjiang. Due sono gli obiettivi cinesi: il primo, definito qualche anno fa, è il China-Pakistan Economic Corridor, progetto che prevede una rotta  alternativa per i trasporti via ferrovia e strada sino al porto e base militare di Gwadar, sull'oceano Indiano, percorso che si snoda sul territorio cinese sino allo hub di Kasghar, nella provincia dello Xinjiang.

Il secondo riguarda l’Afghanistan, dove, a partire dal 2017, erano stati sottoscritti accordi per investimenti il cui seguito non era stato molto promettente, se comparato con gli investimenti miliardari cinesi in Pakistan. Alla luce della situazione attuale, le prospettive di riattivazione possono diventare merce di scambio e di controllo politico considerando ciò che è in ballo: riserve di minerali come rame, carbone e ferro, gas, petrolio nonchè le terre rare tanto richieste quali litio e cobalto il cui valore è stimato in oltre un trilione di dollari.

Tra gli accordi faraonici sottoscritti dalla Cina con l’Afghanistan, spiccano quello del 2007 con MCC, una Soe, che era riuscita ad entrare nel progetto Mes Aynak per l’estrazione del rame, e del 2011 con la CNPC (China National Petroleum Corporation) che si era garantita lo sfruttamento per 25 anni di una riserva petrolifera di 87 milioni di barili per soli 400 milioni di dollari.

Da questi fatti emergono due possibili sviluppi. Il primo prende le mosse dalla storia delle relazioni tra Cina e Afghanistan. Dobbiamo tornare con la memoria al lontano 1979 quando vennero ristabilite tra Cina e America le relazioni diplomatiche sottoscritte dal Presidente Jimmy Carter e Deng Xiaoping in occasione del suo primo viaggio in America e dell’incontro nella famosa stanza ovale della Casa Bianca.

Successivamente, nel 1982, Deng Xiaoping aveva rilasciato una dichiarazione contenuta nei documenti del CPC (Partito Comunista cinese) il cui contenuto era di facile comprensione: "I problemi in Afghanistan assumono un significato strategico globale. Cina e Afghanistan si dividono il confine e questo costituisce un pericolo per la Cina che potrebbe (geograficamente) essere accerchiata”.

In seguito il conflitto e l’occupazione dell’Afghanistan da parte dell’Unione Sovietica, terminata nel 1989, aveva creato una frattura da parte della Cina nel dialogo con i Sovietici relativamente alla demarcazione delle frontiere con un’attenzione di riflesso verso il governo americano.

Le degenerazioni successive, ovvero “le infiltrazioni straniere e gli atti di terrorismo fuori dai propri confini”, sono sempre state condannate da Pechino ritenendo e temendo che l’Afghanistan potesse assumere un ruolo di rifugio e di training per le milizie degli Uygur in cerca di indipendenza.

Per questa ragione, di contrasto, la Cina ha considerato l’Afghanistan un territorio e un pilastro necessario al successo della Belt & Road per tutti i progetti concentrati nell’area dell’Eurasia.

L’altra considerazione riguarda più in generale la storia dell’approvvigionamento delle materie prime e come viene ben descritto da Carlo.M. Cipolla nel breve saggio Allegro ma non troppo: “ .. Fu allora che il capitalismo medievale raggiunse il suo apice. Il pepe, il vino e la lana erano i principali ingredienti della prosperità generale, il pepe mantenendo naturalmente il ruolo di quello che Marx chiamava il motore della storia” (pag 34).

Ne fa seguito l’economista Alessandro Giraudo che nel suo testo Storie straordinarie delle materie prime sostiene che:”..con il commercio delle materie prime si sviluppano le grandi strade del passato, quelle su cui transitavano materie prime, mercanti, militari, diplomatici, idee politiche e religiose e.. virus”.

La storia non si ripete ma i parallelismi sono d’obbligo: il pepe e le spezie che potevano sembrare elementi non prioritari nella vita dell’individuo hanno scatenato guerre come la conquista del litio ora per la produzione di batterie per le vetture EV.

Infatti, è proprio di questi giorni che il settore dell’automotive, già in sofferenza, è talmente soggetto alla criticità delle materie prime e dei microprocessori che alcune importanti case automobilistiche, Stellantis, WW e Toyota, sono state costrette a ridurre del 40% le loro produzioni con impatti negativi sui loro conti.

L’Afghanistan era stato considerato nell’antichità uno dei territori più fertili al mondo, oggetto di conquista da parte di Alessandro il Grande. Adesso è rappresentato da un ammasso di rovine dopo quasi mezzo secolo di conflitti, nel cui sottosuolo si racchiude un tesoro: tesoro di cui la Cina avrà il beneficio maggiore anche con la rapida costruzione ed organizzazione di nuove unità produttive di microchips o IC (Integrated circuit) cui si abbina un trasporto rapido di materie prime dai luoghi di estrazione afgani.

Anche in Cina la produzione di autovetture ha accusato sofferenza nello scorso mese di luglio con un calo del 16% rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente. Ma alcune aziende si stanno muovendo come la Ronxing Semiconductor di Ningbo che ha acquistato ad un’asta nel luglio scorso lo stabilimento di semilavorati della decotta Huaian Imaging Device ubicata nella provincia del Jangsu.

Un altro esempio è la Sien di Qingdao che sta sostituendo la produzione dei wafers da 8 a 12 pollici. Sicuramente queste decisioni, essendo state inserite nel recente Piano quinquennale, contribuiranno a velocizzare il ripristino della catena del valore con un rafforzamento strategico in questo comparto per il futuro.

La costellazione della Via della seta travalicherà un’altra galassia. (riproduzione riservata)

*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni


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