Suzanne Clark, chief executive della Camera di commercio americana, con una sua delegazione, ha incontrato, la settimana scorsa, il premier cinese Li Qiang, esprimendo una serie di riserve sulla politica economica cinese toccando anche i temi quali il protezionismo digitale, la proprietà intellettuale e i contenuti del documento Made in China 2025.
Pubblicato il 7 luglio 2015 dal Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese, il documento programmatico “Made in China 2025” indicava le linee guida con i relativi campi di intervento da implementare nel decennio successivo per arrivare al traguardo finale con l’esecutorietà e la valutazione degli obiettivi raggiunti.
In quegli anni tutti plaudivano l’iniziativa con seminari e convegni che volevano attestare i cambiamenti positivi in Cina salvo poi, nel giro di qualche anno, dimenticare, complice anche la pandemia del triennio, questa pietra miliare nei programmi politico-economici di Pechino.
L’argomento era poi stato ripreso dallo stesso Governo nell’Assemblea del Popolo di due anni orsono ma per l’Occidente la sorte era il dimenticatoio; parafrasando una frase dello scrittore francese Andrè Gide: "Tutte le cose sono già state dette; ma poichè nessuno ascolta, occorre sempre ricominciare".
L’aspetto importante, aun anno di distanza dalla conclusione della prima parte del Made in China 2025, è la constatazione che questo programma è proseguito e nel marzo del 2021, in occasione delle due sessioni è stato rivitalizzato raccordandolo al 14° Piano quinquennale con un’attenzione particolare alla politica dei talenti, Ten Thousand Talent plan che mirava ad attirare persone qualificate dall’estero per dare il contributo allo sviluppo del Paese.
Nella prima pagina del documento del Consiglio di Stato si affermava che:”comparata con le economie avanzate, il settore manufatturiero cinese è ampio ma non forte con ovviamente notevoli ritardi nella capacità innovativa, nell’efficienza dell’utilizzazione delle risorse, qualità delle infrastrutture industriali e gradi di digitalizzazione. L’accelerazione e l’upgrade dello sviluppo tecnologico è urgente”. Ed ancora:” Ci sforzeremo a trasformare la Cina come leader globale del manufacturing prima dell’anniversario dei cento anni (2049) della nuova Cina che porrà le fondamenta per la realizzazione del sogno cinese per ringiovanire la nazione”.
In questi due capoversi sono contenuti i principi e i desiderata dello sviluppo. Dieci erano i goals che comprendevano, racchiusi nella categoria Hi-Tech, telecomunicazioni con l’utilizzo del 5G, tecnologia di quinta generazione, robotica, AI, green energy e auto elettriche.
La pandemia e il contesto geopolitico in questi nove anni hanno virato parzialmente la rotta ma non hanno rallentato la corsa in avanti nell’ambito dell’innovazione tecnologica e oggi, mentre ci si accorge che le auto elettriche cinesi stanno invadendo i mercati così come per i pannelli solari nessuno Stato od organizzazione in questi nove anni ha reagito per quello che semplicemente potrebbe essere definito un decalogo per il futuro non solo cinese.
La spinta in avanti promossa da Made in China 2025 trova per il 2024 una serie di ostacoli che stanno creando un collo di bottiglia, che, si spera, non si trasformi in un tunnel. Il seguire pedissequamente quel programma potrebbe avere come conseguenza una sovracapacità produttiva per le auto elettriche che, se non smaltita nei mercati esteri, non potrà essere assorbita dal mercato domestico.
Fitch Ratings aveva previsto per il 2024 un calo del 20% delle vendite di auto EV in Cina. La linea green sta contrastando quella previsione con sconti e revisioni prezzi dei listini. Nell’ultima settimana tre case automobilistiche SAIC GM, Changhan Automobile e Wuling Motors, sulla scorta di BYD, hanno diminuito i listini sotto i 100.000 yuan (12.300 euro). L’anno scorso sono state vendute 284.000 vetture EV con prezzi tra i 7.000 e 12.300 euro. Il rischio è che i margini di profitto vengano sacrificati sempre di più.
Nel frattempo Europa e Stati Uniti stanno monitorando le normative sulle importazioni di autovetture e batterie al fine di limitare l’accesso ai prodotti cinesi.
Lo steso sta accadendo per i pannelli solari: in Cina la capacità di produrre energia solare è raddoppiata e oggi sono disponibili 800 gigawatt molto distante dall'attuale capicità europea ma nello stesso tempo, ben fruendo di sussidi governativi, sono proliferate molte aziende che, per sopravvivere nell’ambito di una stridente competizione, vendono in Europa a sottocosto con un beneficio economico originato a partire dal 2018 con l’abolizione dei dazi di importazione. Ora la Commissione Europea si accinge a legiferare regole più restrittive.
Nel 2021 il China Daily, quotidiano governativo in lingua inglese, titolava a questo riguardo:” Il più grande mercato EV sta correndo” e per le rinnovabili “Verde, pulito, profittevole ed in crescita”. Sarà ancora così? (riproduzione riservata)
* presidente di Savino del Bene Shanghai Co. Vive e lavora a Shanghai da 30 anni