Con luglio è iniziato il giro di boa di questo “annum horribilis” 2020 e la Cina si sta muovendo su più fronti (forse i sei elencati durante l’Assemblea del Popolo dello scorso maggio?) con qualche positivo risultato incassato e tante contraddizioni aperte che spingono gli osservatori e gli operatori ad interrogarsi su come potrà prospettarsi questa seconda parte dell’anno.
Il turning point è la lotta contro il tempo ovvero come chiudere questo anno in contrasto con possibili situazioni di imprevedibili lockdowns domestici o di parziali interruzioni con la comunità internazionale.
È sicuramente questa è una delle ragioni che ha motivato la pubblicazione rivisitata della “negative list”, con i suoi effetti giuridici a partire dal 23 luglio che, fondamentalmente mantiene il suo impianto originale fatto salva la riduzione numerica degli investimenti non consentiti. Si dà spazio ad attività particolarmente difficili da attuare come lo sviluppo del combustibile nucleare o l’esplorazione alla ricerca di petrolio e gas, quasi a voler dire: qui esiste una opportunità ma la meta da raggiungere è ardua e irta di ostacoli.
All’inizio del marzo dell’anno scorso si parlava di una riduzione da 63 a 48, oggi sono scese da 40 a 33, mentre nelle free trade zone, zone di libero scambio che si sono moltiplicate negli ultimi anni sul modello di quella istituita a Shanghai nel 2013, le attività non limitate sono scese da 37 a 30.Tutto ciò con una variabile legato al meccanismo operativo dello State Council che ha facoltà di valutazione al di fuori delle procedure esistenti e quindi con un margine di aleatorietà che potrebbe dare un riscontro positivo ma nello stesso tempo sottendere a limitazioni.
Uno dei settori per il quale si attendeva un elemento di novità, quello dei veicoli commerciali, nel comparto automotive, non è stato modificato così pure non sono state poste in disussione clausole migliorative per i servizi legali e le attività di publishing e media.
Ancora una volta il settore finanziario, che oggi più di ieri permette lo svolgimento delle attività connesse al business, è nuovamente ingabbiato forse a favore delle quattro più importanti banche cinesi. E’ pur vero che qualche settimana fa, American Express ha ottenuto da PBOC la sudata licenza per operare nel territorio cinese alla condizione di essere partner in JV di una società cinese, LianLian Digitech/ Fintech Services Co. e J.P. Morgan era stata autorizzata ad avere il controllo totale della JV China Mutual Fund ma non dobbiamo dimenticarci di quante imprese straniere siano presenti sul territorio cinese che generalmente fruiscono dei servizi di banche e istituzioni del proprio Paese o delle proprie aree.
Ci troviamo di fronte ancora a pesanti restrizioni al movimento dei capitali con la diretta conseguenza di un’assenza di un sistema legale in accordo con le regole internazionali vigenti a Londra o a New York.
Oggi la priorità nell’operare nel mondo, e soprattutto in Cina, è la liquidità finanziaria in quanto da un lato i termini di pagamento si stanno dilatando fuori misura, dall’altro le tempistiche in Cina in ossequio alle procedure vigenti, anche tenendo conto della distinzione tra mercato domestico e regolamenti speciali nelle FTZ, sono estremamente farraginose e le necessità quotidiane diventano necessità a rischio.
A tutt’oggi le transazioni in dare e avere con l’estero sono molte complesse e richiedono giorni di attesa per verifiche prima di essere disponibili (nel caso di rimesse dall’estero) sul conto dell’azienda.
Oggi, da operatore, posso affermare e confermare che non vi sono stati sostanziali miglioramenti nelle procedure gestionali. L’unico segnale che fa comunque pensare è che le banche cinesi stanno offrendo linee di credito senza richiedere particolari garanzie e con un tasso di interesse (LPR – Loan Prime Rate) sicuramente inferiore a quello delle banche straniere che necessitano garanzie e fideiussioni dalle casemadri e offrono tassi di molto superiori al LPR.
La domanda che sorge spontanea è come Shanghai, designata qualche anno fa dal Governo centrale quale hub finanziario, possa vestirsi di questo abito ancorchè modellato secondo la filosofia di questo Paese.
L’ultimo Global Financial Centres Index e il China Development Institute hanno classificato la piazza di Shanghai al quarto posto dopo Londra, Hong Kong e New York. Tuttavia, nella realtà questo non avviene e Shanghai vive di riflesso a causa del probabile venir meno di Hong Kong come sostiene Chen Zhiwu, Direttore di Asia Global Institute dell’Università di Hong Kong.
D’altro canto, il compito oggi di Shanghai è quello di essere al servizio dei bisogni finanziari dell’economia domestica. Pertanto Hong Kong e Shanghai, ciascuno centro nella sua specificità, potranno continuare ad avere ruoli differenti e complementari con l’incognita in futuro del nuovo modello di Hainan.
Dobbiamo quindi intendere Shanghai quale modello o esempio per la Cina visto che parallelamente alla spinta in divenire come centro finanziario la si vuole anche la città dell’entertainment notturno per favorire la crescita e lo sviluppo di hotel, ristopranti e cafè.
Ma attualmente, se si entra in un mall alle otto di sera, durante la settimana, non si trovano visitatori e si ha un’impressione di una spettrale solitudine, tranne qualche eccezione.
Nei primi tre mesi dell’anno Shanghai ha visto precipitare il suo pil del 6,7% il più basso dal 1992, quindi la Municipalità ha come obiettivo una sorta di riscatto con la promozione dell’utilizzo di infrastrutture quali i mall in accordo con i proprietari o con le società di management cui è affidata la loro gestione.
Seguendo questa impostazione prende piede e consistenza anche in Cina “La teoria generale dell’occupazione, dell’interese e della moneta” di John Maynard Keynes che ha posto le basi della teoria del consumo e degli investimenti. Ma in un momento di crisi ed incertezza la Cina, tradizionalmente a economia dirigista, può far proprio il modello keynesiano?
Dalle premesse esposte sopra pare di sì. Ma la domanda aggregata potrebbe essere insufficiente a generare la piena occupazione. Shanghai è pronta a sfidare questa teoria.
*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni