Sono trascorsi cinque mesi da quando, tra le righe di un mio articolo, si accennava al primo caso di una strana malattia inizialmente con sintomi analoghi alla Sars, ribattezzata poi Covid-19 e causa dell’attuale pandemia. Quali fronti sono ancora aperti, anche alla luce di nuovi casi e contagi avvenuti a Pechino in questi giorni, che potrebbero rimescolare le carte delle decisioni sin quì assunte dal Governo centrale?
Indirettamente si era affrontato il problema dei migranti e di contrasto alle politiche di riposizionamento dei consumi a seguito del quadro di riferimento generale che vede una contrazione della domanda mondiale. Infatti, l’export dalla Cina nei primi cinque mesi è diminuito del 4,95% su base annua come pubblicato dalla General Administration Customs e la diminuzione sarebbe stata maggiore se non avesse utilizzato il paracadute dell’export dei dispositivi di protezione individuale con numeri impensabili come ad esempio i 70 miliardi di mascherine esportate e prodotte da 70 mila imprese registrate nei primi cinque mesi dell’anno.
A seguito di ciò, è interessante capire come il Governo centrale intenda muoversi per la creazione di 9 milioni di nuovi posti di lavoro per contenere il tasso di disoccupazione che, secondo una recente stima, dovrebbe mantenersi quest’anno intorno al 6%. Si parla di disoccupazione urbana che non tiene conto di tutte le persone che vivono fuori dalle grandi metropoli e senza stabile occupazione e cioè l’equivalente del 50% della forza lavoro.
Se, come prospetta il WTO, i flussi commerciali mondiali diminuiranno percentualmente nel corso del 2020 tra il 13% ed il 32% rispetto all’anno precedente e dal momento che la Cina rappresenta in questi flussi il 16% circa (ultima fonte Eurostat rispetto al 2018), ne consegue che l’export verrà penalizzato e non sarà sufficiente l’incremento del consumo interno, come ribadito durante l’ultima Assemblea del Popolo, a compensare il differenziale di export.
Il problema dell’occupazione e del conseguente reddito prodotto è la leva che sta alla base della stabilità di un Paese e per questa ragione, tra i vari provvedimenti governativi a dodici zeri destinati a rafforzare il circuito virtuoso della “normalità della Cina” è apparso anomalo, almeno in apparenza e fuori dalle righe, l’idea del Premier Li Keqiang di autorizzare il commercio in strada da parte di persone che, senza reddito (10 milioni hanno gà perso il posto di lavoro) o con reddito ridotto a causa delle criticità delle aziende dove lavoravano, necessitano di integrare le fonti di sostentamento.
Alcuni sindaci delle grandi città oggetto dell’iniziativa si sono opposti motivando ragioni di igiene e salute pubblica, alterazione dell’arredo urbano. Al momento non si è ancora capito se questa iniziativa seguirà il suo corso oppure verrà accantonata.
Ma come mai è stata presa questa iniziativa nonostante l’attività manufatturiera sia ripartita all’85%, il retail nei vari segmenti stia rispondendo bene e i provvedimenti di nuovi investimenti dovrebbe far ben sperare? Il tanto invocato pragmatismo dei cinesi, talvolta esaltato tal’altra biasimato, viene in aiuto in momenti oltremodo incerti in virtù del quadro internazionale.
Non va dimenticato che la storia degli ultimi 40 anni è stata caratterizzata oltre che dallo sviluppo industriale e dalle infrastrutture, da un’area magmatica di attività commerciali, soprattutto nel settore dell’alimentazione, il classico street food, e nell’abbigliamento nonchè da ambulanti che giravano quotidianamente in quartieri e distretti a vendere e commercializzare i loro prodotti.
Capita ancora, passando in zone secondarie di osservare i contadini che espongono sul marciapiede nel tardo pomeriggio le verdure appena raccolte. Negli ultimi anni è stata pesantemente ridotta e controllata questa libera iniziativa che permetteva di integrare il reddito primario. Si era aperto anche l’e-commerce come elemento di unione tra la produzione e la vendita al consumatore finale interponendo solo una barriera di transazione finanziaria digitale.
Ora il programma dovrebbe riguardare 27 città cinesi dalla prima alla terza fascia dopo un esperimento positivo effettuato nel mese di maggio a Chengdu con l’installazione di 36.000 postazioni di vendita per un coinvolgimento totale di almeno 100.000 persone. Per evitare di perdere il controllo di queste iniziative Alibaba e JD.com offrono prestiti a tasso zero e la disponibilità di mezzi attrezzati per la vendita.
Una cosa è certa: il fattore di resilienza di un Paese con il concorso della popolazione è un elemento sicuramente di successo per superare momenti difficili.
In Cina la resilienza è stata più volte utilizzata mentre nei Paesi europei si è sempre considerata la resistenza (differenza semantica non trascurabile): nel corso della storia cinese del XX secolo e anche di recente la flessibilità nel modificare decisioni precedentemente assunte per contrastare possibili fenomeni negativi è stata più volte applicata in subordine al pragmatismo.
Al primo convegno Ambrosetti tenutosi in Cina nel pieno della crisi finanziaria del 2008 uno dei relatori Mr. Fan Gang, Formal Director della Cass (Chinese Accademy of Social Science) e consulente del Governo, mi aveva risposto proprio cogliendo l’aspetto che la resilienza e la reazione familistica dovevano essere in primo luogo la chiave di volta nell’affrontare il peggio.
Nella pluricitata L’arte della guerra di Sun Tsu si legge nel commentario : “Ottenere un risultato sostanziale a lungo termine è più importante che eliminare le cause immediate di ira e disagio... Gli obiettivi intermedi sono spesso strettamente collegati ed in contrasto tra loro. Eppure, benchè cambino forma e posizione, non influiscono sull’obiettivo finale”.
Ad avvalorare questo pensiero, Huang Gengzhi, professore di geografia urbana presso l’università Sun Yat -sen di Canton ha dichiarato:”Penso che sia necessario per il Governo centrale ripensare il modello del commercio per strada come una prospettiva a lungo termine essendo parte del nostro sviluppo economico urbano”.
Dopo molti anni riattivare una pratica in disuso creerà molte contraddizioni specialmente nei rapporti tra la figura del manager responsabile delle aree urbane (Chengguan) e la platea dei venditori ma questo è nel DNA della civiltà cinese.
*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni