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Politica

Sorpresa, raddoppia l'export dello Xinjiang verso gli Stati Uniti

Lo registrano i dati delle dogane cinesi, mentre il governo americano ha ordinato di boicottare le aziende che lavorano nella regione. Dai dati sembra che manchino quelli sul cotone, il primo prodotto agricolo della regione. Nel primo trimestre di quest'anno l'export del Dragone verso gli Stati Uniti è cresciuto del 75%. Intanto salgono le tensioni commerciali tra Cina e Australia


22/04/2021 13:15

di Pier Paolo Albricci - Class Editori

settimanale
Urumqi, capitale dello Xinjiang

Nonostante il divieto Usa su una serie di prodotti e le sanzioni nei confronti delle aziende dello Xinjiang, la provincia cinese abitata dalla minoranza uiguro-musulmana sottoposta - secondo ong e governi occidentali - a repressione da parte di Pechino, le esportazioni dirette da quella provincia sono più che raddoppiate nel primo trimestre del 2021. Lo segnalano i dati diffusi dall'Agenzia delle dogane cinese.

Le esportazioni dalla regione cinese sono cresciute del 113 per cento a 64,4 milioni di dollari. I dati hanno come punto di paragone una fase, il primo trimestre dello scorso anno, in cui l'economia cinese era completamente impallata dalla crisi sanitaria dovuta al Covid-19. Tuttavia, anche paragonando il dato attuale con quello del primo trimestre 2019, quando non c'era alcuna crisi sanitaria in atto, l'incremento dell'export diretto è stato del 46,5 per cento.

Le esportazioni del Xinjiang sono una parte minima dell'export totale della Cina verso gli Stati Uniti, che è stato di 119,2 miliardi di dollari nel primo trimestre del 2021, con una crescita che ha sfiorato il 75% sul 2020. Ma solitamente riguardano per la gran parte il cotone, un'industria che è finita sotto la lente d'ingrandimento proprio per le accuse di sfruttamento del lavoro forzato uiguro.

Nel caso dei dati attuali, però, il cotone è di fatto assente dalla lista dei beni esportati. Sono invece presenti prodotti chimici e industriali. Le esportazioni dallo Xinjiang verso l'Unione europea, invece, sono calate come ci si sarebbe aspettati. Quelle verso la Germania, la principale economia europea, sono calati del 74 per cento rispetto al primo trimestre 2019, l'ultimo pre-Covid.

Sul fronte della Belt & Road si assiste intanto a un nuovo inasprimento delle tensioni tra Cina e Australia, uno dei principali partner commerciali del Dragone, con circa 168 miliardi di dollari (nel 2020) di scambi commerciali, in leggera flessione, mentre nel primo trimeste di quest'anno si è registrato un aumentop del 28% degli scambi a 47 miliardi di dollari, e soprattutto l'export cinese verso Canberra ha segnato un +50%.

La Cina ha minacciato l'Australia di grave conseguenze, dopo che Canberra ha deciso di revocare due accordi firmati tra lo stato di Victoria e Pechino nell'ambito dell'Iniziativa Belt and Road.

Il ministro degli Esteri australiano Marise Payne, sulla base di una legge approvata lo scorso anno a livello federale, ha cancellato gli accordi firmati nel 2018 e nel 2019 tra il governo dello stato di Victoria e la Comissione nazionale cinese di sviluppo e riforma, oltre che una serie di accordi con Siria e Iran, sulla base del fatto che tali accordi sono in contrasto con la politica estera australiana.

"La mossa non solo è irragionevole per la Cina ma anche per Victoria. È anche una deliberata provocazione che va oltre la forza dell'Australia e potrebbe avere gravi conseguenze", ha affermato un "osservatore" al Global Times, giornale che è espressione dell'ala dura del Partito comunista cinese.

Le relazioni tra Cina e Australia sono da tempo a un punto piuttosto basso. Una serie di atti ostili tra i due paesi si sono susseguiti e, tra questi, la decisione australiana di mettere fuori Huawei dalla rete 5G, primo paese ad averlo fatto. Inoltre, Canberra ha chiesto un'inchiesta accurata e indipendente sull'origine in Cina del Covid-19. Pechino, dal canto suo, ha reagito con una serie di sanzioni nei confronti delle esportazioni australiane. (riproduzione riservata)


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