La Commissione Europea non chiude le porte all’intervento statale se questo servirà a tutelare le aziende del Vecchio Continente da acquisizioni predatorie. Al contrario, nel bel mezzo della pandemia di coronavirus, che sta mettendo sotto pressione il sistema produttivo europeo, la commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager, ha chiarito che Bruxelles non vede problemi qualora gli Stati agiscano se necessario come «partecipanti al mercato per prevenire acquisizioni».
A colloquio con il Financial Times la vicepresidente della Commissione Ue precisa: «è importante essere consapevoli che c’è il rischio reale che le aziende più deboli possano essere oggetto di acquisizioni». Il messaggio, sottolinea il quotidiano della City, ha in mente un destinatario preciso: Pechino. «Chiunque voglia fare affari in Europa è benvenuto, ma non se fa concorrenza sleale», ha aggiunto Vestager.
Dai dati compilati dall’istituto tedesco Merics e dal Rhodium Group, in realtà, emerge come nel 2019 l’interesse delle imprese cinesi per gli asset europei sia calato rispetto ai picchi registrati tre anni fa. La flessione degli investimenti diretti del Dragone rispetto al 2018 è stata di un terzo, scendendo in termini di valore a 12 miliardi di euro. Anche la quota di operazioni portate avanti dalle grande aziende di Stato si è ridotta. Sono state appena l’11% del totale aggregato, ai livelli più bassi dal 2000.
Scende anche, dal 45 al 34%, la quota di investimenti destinata a Gran Bretagna, Francia e Germania, finora in cima alle preferenze del Dragone (erano al 71% nel 2017). Invece guadagnano interesse i Paesi scandinavi, mentre a livello di settori nel corso dell’ultimo anno gli investitori cinesi in Europa si sono concentrati soprattutto su beni di consumo e servizi anche se una quota importante delle acquisizioni ha riguardato il settore tecnologico, nonostante le cautele degli Stati e l’insistenza statunitense affinché gli alleati tengano a distanza Pechino da comparti considerati strategici.
La crisi innescata dalla diffusione di Covid-19 potrebbe però avere esposto le aziende Ue a nuovi appetiti. Il condizionale è d’obbligo. Come sottolineano gli stessi autori dello studio Merics-Rhodium, anche la seconda economia al mondo rallenta e le aziende devono fare i conti con la liquidità.
Lo stesso governo cinese non ha intenzione di allentare ulteriormente il controllo sui capitali messo in piedi negli ultimi anni per riportare la situazione finanziaria in un quadro di stabilità. Un ostacolo ulteriore è il sistema di screening degli investimenti. Un po’ in tutta Europa gli Stati hanno rivisto i meccanismi di screening sugli investimenti stranieri. Risale a due settimane fa una comunicazione della Commissione alle capitali con l’invito a rafforzare la presa sugli asset strategici per l’Unione, a partire da quelli del settore della salute, particolarmente sensibili ai tempi della pandemia da coronavirus, ma non solo.
Entro giugno intanto Bruxelles presenterà un proprio piano d’azione per arginare azioni predatorie da parte di imprese sostenute dallo Stato. Una linea più rigida sollecitata da Francia e Germania, che si accompagna alla richiesta arrivata anche da Polonia e Italia di un ripensamento delle norme antitrust per permettere la nascita di campioni comunitari, capaci di competere ad armi pari con controparti cinesi ed extra-Ue. (riproduzione riservata)