Le prime avvisaglie, i mass testing su un campione indifferenziato di persone, le chiusure di complessi di uffici o centri residenziali per quarantotto ore seguite in alcuni casi da quarantene di due settimane e poi la notizia vera, dopo tante fake news, che a Shanghai il Covid è tornato grazie a una evidente “culpa in vigilando”.
In un hotel destinato a ospitare cittadini di Hong Kong, come centro di accoglienza, non sarebbe stato modificato l’impianto di condizionamento centralizzato con la conseguente diffusione del virus.
Oggi scuole e asili sono chiusi, i pochi eventi cancellati e vivaci focolai che, come in un incendio che ha seminato distruzione di foreste, per un’alitata di vento fanno riprendere piccole ma pericolose fiamme.
Non solo a Shanghai: nel nord est della Cina, a Changchun i positivi sono aumentati considerevolmente per gli standard cinesi e a Jilin solo ieri vi sono stati circa 900 casi secondo i dati della National Health Commission.
Shanghai, a differenza di altre città, non può chiudersi in se stessa con un rigido e sistematico lockdown; può però fermare dei centri nevralgici rendendo il lavoro, la produzione ma soprattutto i trasporti difficoltosi.
La differenza con il passato è che prima le aree a rischio erano limitate e controllabili: oggi si vive con l’angoscia di essere rinchiusi nel compound dove si vive o negli uffici per un tempo necessario in attesa degli esiti dei test. Ma intanto le centinaia di uffici nei lussuosi building offices si sono trasformati in bivacchi notturni e, quando capita, anche i ristoranti seguono lo stesso destino come alcuni parcheggi nei seminterrati attrezzati con brandine da campo.
La politica dello “zero tolerance” che dovrebbe scadere nelle migliori delle ipotesi nel dicembre 2024 oggi ha assunto una connotazione diversa dovuta all’invasività dell’azione.
Ma di quanti casi si parla a Shanghai tali che possano giustificare queste azioni di mass testing? A ieri erano stati registrati 480 casi di cui 440 asintomatici. In particolare ieri su 169 casi 41 erano positivi.
A completare il quadro c'è la chiusura da sabato di Shenzhen con trasporti pubblici sospesi e obbligo per i residenti di sottoporsi a tre test entro il 20 marzo.
In supporto al mass testing cinque società hanno ottenuto l’autorizzazione governativa alla produzione di kit per i test rapidi antigenici (RAT Rapid antigenic test).
Gli occidentali non riescono a farsene una ragione che tutto ciò accada in un Paese dove alla fine di febbraio oltre l’87% della popolazione cinese aveva concluso i due cicli vaccinali e per buona parte anche il terzo, in presenza di livello di penetrazione del virus, nella fattispecie Omicron, minimo, che non ha cagionato decessi recenti e, ancora una volta, con casi che spesso sono risultati asintomatici.
La risposta è semplicemente che la Cina ha adottato e continua ad adottare un approccio completamente diverso dai Paesi occidentali. Nell’ultima press conference a chiusura delle Two sessions di Pechino, Li Keqiang ha risposto che: “In molte occasioni parlando con business communities internazionali, imprese multinazionali e capi azienda ho affermato che la Cina ha aperto linee fast-track e corridoi verdi per assicurare il normale svolgimento delle attività e di importanti progetti nelle aree strategiche”. E a proposito del RAT ha sostenuto che: “Zero Covid Rapid dovrebbe essere la giusta frequenza per evitare lo smembramento dell'economia”.
Questa affermazione che conferma l’impostazione che la Cina si è data sin dall’inizio rende più difficoltoso il modello di lavoro in quanto ad una diretta motivazione causa effetto (un luogo è ritenuto a rischio e si chiude) si aggiungono quelle indirette: un impiegato viene tracciato durante un pasto in un ristorante dove vi è stato un cliente che, a seguito delle risultanze del test, risulterà poi sintomatico; per la procedura in vigore dovrà sottoporsi a quattordici giorni di quarantena o presso la propria abitazione o nei centri abilitati.
Il quesito è se questa persona potrà utilizzare lo smark working e quale sarà il trattamento retributivo visto che non ha coinvolgimento alcuno ma solo la casualità delle frequentazione.
Organizzare team alternati per gli uffici, dotare il personale di strumenti informatici non è semplice anche perché la maggior parte degli impiegati non usa il computer a casa e spesso non ha collegamenti ADSL essendo smartphone dipendenti.
A questo va aggiunto che nei trasporti sta tornando il caos in rapporto ad una situazione oltremodo complessa creatasi negli ultimi due anni. Il conflitto russo-ucraino ha completato la tempesta perfetta: voli limitati con rotte diversificate a causa della posizione russa sull'attraversamento dei suoi spazi aerei; il Mar Nero con il porto Odessa completamente bloccato in attesa di un possibile attacco militare e infine voli passeggeri con tariffe che si incrementano di giorno in giorno quasi a seguire l’andamento delle materie prime.
Le partenze da Shanghai sono sconsigliate a meno di ragioni urgenti ed indifferibili a condizione che si producano nelle quarantotto ore precedenti la partenza i risultati di due test. L’aeroporto di Shanghai ha comunque sospeso i voli passeggeri internazionali.
Sappiamo altresì che questo modello ci accompagnerà in questo lungo percorso verso la fine di un incubo ma “vi è una necessità psicologica ... come tentativo di ridisegnare in prospettiva questa cattività senza fine”. (Sandro Modeo, Corriere della Sera, 26|12|2020 ). (riproduzione riservata)
*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni