Il mercato obbligazionario cinese è nel mirino dei grandi investitori internazionali, che secondo dati aggiornati da China Central Depository & Clearing Corporation, ne hanno in portafoglio per soli 318 miliardi di dollari, a fronte di un ammontare complessivo di titoli in essere per circa 16 triliardi di dollari, quindi intorno al 2% del totale.
I motivi principali dell'interesse sono un consistente rendimento a scadenza, nell'ordine del 3%, accompagnato al rating investment grade, la bassa correlazione rispetto agli altri principali indici obbligazionari internazionali e la presenza sempre più consistente nei portafogli globali.
Il confronto con i principali titoli sovrani è a tutto vantaggio del Dragone: chi acquista un titolo quinquennale del governo americano mira oggi a incassare lo 0,5% di rendimento annuo espresso in dollari mentre per il Btp stessa scadenza il rendimento è nullo, entrambi con scarse possibilità di apprezzamento nel medio periodo visto il quantitative easing in atto e le prospettive sull’inflazione, coloro che scelgono i titoli di Stato cinesi possono puntare al 3% sulla stessa scadenza in yuan, con prospettive più stabili sui prezzi.
Goldman Sachs Asset Management spiega i punti di forza di questa asset class, che sta assumendo dimensioni di assoluto rilievo: a fine 2020 si stimava un controvalore domestico delle emissioni cinesi, governative e corporate, pari a oltre 16 mila miliardi di dollari Usa (111 mila miliardi di yuan), ovvero cinque volte rispetto a dieci anni fa.
Ciò ha permesso al mercato obbligazionario cinese di diventare il secondo più grande al mondo, scalzando la posizione detenuta da sempre da quello giapponese, mentre gli Stati Uniti rimangono il più grande emittente di bond. L’avanzata della Cina è stata sostenuta da una fitta schiera di iniziative governative, tra cui lo schema QFII, adottato per rendere il mercato più trasparente e più aperto agli investitori internazionali.
La liquidità del mercato è aumentata notevolmente rispetto agli ultimi anni: nei primi 9 mesi del 2020 si sono scambiati circa 29 miliardi di dollari di bond in yuan, rispetto ai 26 miliardi di dollari di obbligazioni giapponesi e 216 miliardi di dollari di emissioni statunitensi. Al pari dei Paesi occidentali, la Cina non disattende nemmeno le tematiche Esg: Pechino si è impegnata a raggiungere le emissioni zero in termini di Co2 entro il 2060, obiettivo che dovrebbe impattare sulle economie di numerosi settori, infrastrutture e tecnologie green in testa.
Nonostante l’espansione del debito pubblico e societario, passato dal 77% del Pil nel 2017 al 90% di fine 2020 spinto anche qui dalla pandemia, non si identificano criticità sulla relativa sostenibilità: il rating governativo delle principali agenzie è infatti elevato, pari ad A+, grazie a una crescita economica vivace che ha segnato un avanzamento anche nel 2020, unico caso tra le 35 economie avanzate.
Sebbene il debito manifesti un trend in crescita, con aspettative di espansione fino a 167 mila miliardi di yuan entro il 2025, la Cina rimarrà dunque molto lontana dagli elevati rapporti di indebitamento che caratterizzano gran parte delle economie avanzate. Il 65% dei bond governativi cinesi è inoltre detenuto da istituzioni bancarie locali e solo il 3% scarso da investitori esteri, situazione che smorza sensibilmente la volatilità delle quotazioni in caso di tensioni sui mercati internazionali.
L’appeal dei bond cinesi non deriva solo dallo spazio di crescita attuale nei portafogli esteri, che di per sé è già in grado di sostenerne le quotazioni: questo spazio è in progressivo aumento grazie alle mosse dei principali index provider mondiali, che stanno via via incrementando la presenza di titoli emessi dalla Cina nei benchmark obbligazionari utilizzati dai gestori internazionali.
Ftse Russell ha confermato a tal proposito che inserirà a partire da ottobre 2021 le obbligazioni cinesi all’interno dell’indice Ftse Russell World Government Bond, mossa che da sola dovrebbe essere in grado di attirare una massa di circa 100 miliardi di dollari sui titoli di stato del colosso asiatico. Il processo di inserimento in questo indice si concluderà nel settembre 2022, a condizione che le riforme inerenti la trasparenza, l’efficienza e la liquidità del mercato vadano a buon fine.
In tal caso il peso dei bond cinesi nel benchmark sarà prossimo al 5,7%. Prima ancora, Bloomberg Barclays e JP Morgan si sono comportati in modo analogo: per l’indice Bloomberg Global Aggregate il processo di inclusione dei bond cinesi si è concluso nel novembre del 2020 e oggi questa asset class vale circa il 6% del benchmark, e tenderà al 6,25% negli anni a venire. JP Morgan a sua volta ha completato il processo di inclusione nell’indice GBI EM Global Diversified nel dicembre 2020, con un target massimo di peso fissato al 10%. Sui soli strumenti passivi o indicizzati, l’azione complessiva dei tre index provider dovrebbe portare nuovi acquisti per 300 miliardi di dollari entro il 2022, stima GSAM.
Dalla convinzione di Goldman Sachs Asset Management sull’appeal di questo importante mercato è nato a suo tempo il primo Etf che consente di investire in modo diversificato sui titoli di stato della Cina: la composizione dell’Etf Ftse Goldman Sachs Access China Government Bond sfiora oggi la quota di 40 bond governativi denominati in yuan per un rendimento complessivo a scadenza del 3,10% annuo lordo, a fronte di una duration di portafoglio limitata a 5,5 anni.
Il ribilanciamento del benchmark avviene su base mensile, seguendo la replica di tipo fisico con campionamento. L’emittente ha scelto di quotare sul mercato EtfPlus di Borsa Italiana la versione a distribuzione dei proventi con stacchi cedola su base semestrale. Tra l’altro, Goldman Sachs Asset Management ha recentemente deciso di abbassare il Ter dell’Etf dallo 0,35% allo 0,24%, diventando così lo strumento più economico per investire sulle obbligazioni governative della seconda economia mondiale. (riproduzione riservata)