La borsa cinese ha guidato il recupero dei mercati da inizio anno: l’indice Csi 300, che rappresenta i mercati di Shanghai e Shenzhen, ha registrato una performance di oltre il 40% anche grazie alle aspettative di un accordo commerciale con gli Stati Uniti.
Il quadro economico è nel complesso positivo, anche se a lungo termine ci sono alcune aree di rischio. La decelerazione dell’economia che si è manifestata in Europa è arrivata in misura minore anche in Cina, concretizzandosi in una minore domanda estera e in una contrazione degli investimenti.
A ben vedere, la pausa degli investimenti in capitale fisso sembra essere già finita. All’inizio dell’anno il tasso di crescita è tornato sopra il 6%, spinto dalle infrastrutture e dalle costruzioni. Gli investimenti nel manifatturiero sono rimasti invece deboli rispetto al recente passato, a testimoniare le difficoltà del settore industriale a livello globale in un clima d’incertezza politica internazionale.
La domanda estera resta debole rispetto al recente passato. La crescita delle esportazioni è scesa di 5 punti percentuali anche perché lo scorso anno molte società statunitensi avevano anticipato le importazioni dalla Cina per evitare l’entrata in vigore dei dazi, creando un vuoto nei primi mesi del 2019.
Anche questa volta, la Cina sembra reagire alle fasi di decelerazione economica con politiche monetarie e fiscali particolarmente energiche. All’Assemblea nazionale del popolo dello scorso marzo è stato riaffermato un piano di espansione monetaria quasi continuo e sono stati varati nuovi tagli alle imposte sulle imprese. Inoltre, le banche controllate dallo Stato hanno ricevuto un target di crescita per gli impieghi alle piccole imprese del 30%.
Queste politiche economiche hanno avuto l’indubbio merito di consentire una crescita formidabile negli ultimi decenni, promuovere la rapida conversione dell’economia cinese verso un modello più avanzato e costruire le infrastrutture che hanno permesso a milioni di persone di spostarsi dalle campagne alle città, divenendo importanti e sofisticati consumatori. Il rovescio della medaglia è che anche l’indebitamento delle aziende cinesi, incluse quelle controllate dallo Stato, è salito a livelli occidentali e ben superiori alla gran parte dei Paesi emergenti.
Questa tendenza non sembra arrestarsi e l’indebitamento del settore privato cinese cresce nuovamente intorno al 10%. Finché la crescita cinese resterà su livelli robusti, l’elevato indebitamento delle imprese non si trasformerà in un problema per il settore bancario. Tuttavia, se in futuro la crescita cinese dovesse diminuire bruscamente, la situazione potrebbe rivelarsi complessa per le banche e magari spingere il governo e la banca centrale a svalutare il renminbi. Non si tratta di un rischio per quest’anno, anzi, nel breve prevalgono gli aspetti positivi e l’attesa sul raggiungimento di un accordo con gli Stati Uniti, ma è bene tenerlo presente per il futuro.