Mentre la Cina si riprende a rilento dalla devastante pandemia di Covid-19, il resto del mondo piomba in quarantena con il bilancio delle vittime che continua a salire e i casi confermati che superano quota 1 milione. Per contenere l’importazione di infezioni da Covid-19, le città cinesi hanno imposto una quarantena di 14 giorni per tutti gli arrivi internazionali. Benché in un primo momento fosse concesso ad alcuni individui di osservare il periodo di isolamento a casa, in seguito sempre più municipalità hanno ordinato la quarantena «centralizzata» presso hotel dedicati, durante la quale i viaggiatori si accollano il costo di vitto e alloggio. Tale processo, sebbene severo e talvolta spiacevole, si è dimostrato particolarmente appropriato nel ridurre il tasso di contagi in Cina.
Nonostante l’efficacia dei provvedimenti restrittivi, il ministero degli Affari esteri ha di recente adottato ulteriori misure di contenimento non strettamente necessarie, sospendendo l’ingresso nella Repubblica Popolare Cinese a tutti i cittadini stranieri a partire dal 28 marzo. Salvo alcune eccezioni non chiaramente specificate, tale ordinanza riguarda tutti i cittadini stranieri, compresi quelli titolari di visto regolare o in possesso di permessi di residenza validi.
Questo divieto «temporaneo», la cui durata non è stata stabilita, avrà un impatto profondo sia sulle famiglie europee in Cina, sia sulle imprese presenti sul territorio e rallenterà ulteriormente il ritorno alla normalità tanto anelata. Questo malgrado gli stranieri rappresentino soltanto una piccola percentuale dei viaggiatori in arrivo nel Paese e nonostante il 90% dei casi importati di Covid-19 sia da attribuirsi a cittadini cinesi di ritorno dall’estero.
Ma mentre questi ultimi sono soggetti a un regolare processo di quarantena in arrivo nella Repubblica Popolare, ai residenti stranieri che hanno fatto della Cina la propria dimora è negata la stessa possibilità per via di un’ordinanza arbitraria e non scientifica. L’intera traversia è stata ulteriormente inasprita quando il ministero degli Affari esteri ha dichiaratamente sconsigliato ai diplomatici stranieri di rientrare in Cina fino a metà maggio.
Ciò si ripercuoterà senza dubbio sulle operazioni dei consolati e delle ambasciate, compromettendo le funzioni di ausilio ai connazionali nel Paese. Inoltre, per le tante imprese europee che creano posti di lavoro e pagano le tasse in Cina, pesa avere il personale bloccato all’estero e ancora all’oscuro di quando potrà rientrare nel Paese. E se il lavoro da remoto è possibile per determinati settori, non tutte le attività professionali possono essere gestite digitalmente. Alcuni rappresentanti legali di aziende europee rimangono tutt’oggi trattenuti all’estero, nell’impossibilità di disporre della facoltà di firma, di apporre timbri aziendali o di espletare mansioni e obblighi commerciali che i loro dipendenti non possono svolgere legalmente. Tali condizioni sono particolarmente rischiose per le pmi europee per le quali la mancanza anche solo di un membro del personale a tempo indeterminato può portare conseguenze disastrose.
Nel frattempo, i residenti legali che si sono trovati in Cina al momento della chiusura delle frontiere hanno subito discriminazioni sulla base della nazionalità. Inchieste dettagliate riportano di stranieri allontanati da palestre, da ristoranti e da caffè, importunati per strada o deliberatamente evitati in metropolitana. Anche in Europa cinesi e asiatici ormai da tempo naturalizzati, così come altri cittadini provenienti dalla Cina e legalmente residenti nel Vecchio Continente, sono stati trattati in modo deplorevole. Tuttavia, a fatti incresciosi del genere sono seguite ondate di sostegno da parte delle autorità, delle aziende e della società civile europee, un sostegno che è mancato in Cina, dove i leader politici sono rimasti silenti. Pechino e i governi locali, infatti, dovrebbero condannare fermamente tali comportamenti discriminanti.
Come l’ambasciatore cinese negli Stati Uniti, Cui Tiankai, ha recentemente affermato in un editoriale per il New York Times, «questo non è il momento del puntare il dito contro. Questo è il momento della solidarietà, della collaborazione e del sostegno reciproco». Nonostante il sentimento espresso da Cui Tiankai sia più che mai necessario, occorre che tali parole si traducano in azioni tangibili da parte delle autorità cinesi, sia per garantire che coloro che risiedono legalmente in Cina possano tornare osservando la quarantena necessaria, sia per condannare pubblicamente gli atti per ora ancora contenuti di bigottismo contro gli stranieri nel Paese, prima che essi si traducano in episodi ricorrenti.
Da sottolineare comunque che, alla luce delle poche nuove infezioni di Covid-19 segnalate quotidianamente e di cui la maggior parte importate dai rimpatriati, la Cina sembra aver realizzato un lavoro straordinario nel rallentare la diffusione del virus e nel consentire al Paese di ripartire dopo due mesi eccezionalmente difficili. Riaprendo la frontiera ai residenti stranieri e ai diplomatici, la Cina non offrirà soltanto un modello globale per sopprimere la pandemia, ma mostrerà anche come mantenere un trattamento equo nei confronti dei residenti stranieri desiderosi di mettere presto piede nella loro casa adottiva. (riproduzione riservata)
* vicepresidente nazionale e presidente della sezione di Shanghai della Camera