Schiacciate tra l'incudine statunitense e il martello cinese, le matricole di Pechino non hanno vita facile. Da quanto riportato ieri in esclusiva da Reuters, la Security and Exchange Commission (Sec) sta prendendo provvedimenti contro le cinesi candidate a un posto sui listini di Wall Street, che dovranno sottostare a controlli aggiuntivi e a requisiti più stringenti.
Nel mirino ci sarebbero le entità a interesse variabile (Vie), ovvero società-guscio create per bypassare le leggi d'Oltremuraglia. Pechino infatti impone restrizioni sulle quote che gli investitori esteri possono detenere nel capitale di alcune aziende, tech in primis. Finanziando le Vie, che stipulano speciali contratti con le società sottostanti, gli azionisti possono acquistare titoli liberamente, anche se legalmente non possiedono il capitale delle matricole.
Da Alibaba a Didi, da Tencent a JD, sono molte le società cinesi che hanno scelto questo strumento per debuttare negli Usa e, stando a un report della National Bureau of Economic Research, i collocamenti totali tramite Vie hanno raccolto 1.620 miliardi di dollari. Troppi per il presidente della Sec Gary Gensler, secondo cui il sistema è poco trasparente. «La Commissione deve assicurarsi che le shell companies rivelino i rischi politici e regolatori», aveva ammonito poco meno di una settimana fa chiedendo una pausa ai collocamenti da Pechino.
In questi giorni, secondo quanto riportato da Reuters, alcune matricole cinesi avrebbero iniziato a ricevere istruzioni dettagliate dalla Sec, che avrebbe chiesto ai veicoli di «descrivere come la struttura aziendale possa influenzare il valore degli investimenti» e «informare gli azionisti che potrebbero non detenere mai il capitale sociale di società operative in Cina».
Come se non bastasse, starebbero aumentando le pressioni sulla Consob statunitense per obbligare al delisting le società cinesi inadempienti. E non è finita. Perché, se da un lato le Vie avranno bisogno di una Green Card speciale per emigrare negli Stati Uniti, dall'altro nemmeno la Cina è un territorio fertile per le quotazioni.
Nel weekend la China Securities Regulatory Commission (Csrc) ha aperto le indagini su quattro advisor, tra cui broker e consulenti legali. Ben 40 nuove leve che si erano appoggiate a questi operatori, Byd Semiconductor in primis, hanno dovuto sospendere il collocamento. Intanto Didi, che programmava la quotazione in Gran Bretagna, secondo il Telegraph avrebbe deciso di attendere ancora almeno un anno, schiacciata dai controlli della Cina e dalle pressioni della Sec.
Malgrado le nuove misure ieri i giganti tech del Dragone hanno centrato in media un progresso di quasi il 10%. L'Hang Seng Tech Index, che monitora l'andamento dei 30 maggiori titoli tecnologici di Hong Kong, ha guadagnato il 7% e il Nasdaq Golden Dragon, che traccia le azioni cinesi quotate negli Usa, a metà seduta saliva di circa il 7%. Merito anche dei conti del secondo trimestre di JD; da aprile a giugno la società ha visto il giro d'affari lievitare del 26% su base annua a 253,8 miliardi di yuan (39,2 miliardi di dollari). A metà seduta il titolo saliva del 12,35% sul Nasdaq. (riproduzione riservata)