«È una svolta fondamentale in quasi trent’anni di mercato azionario in Cina», ha dichiarato Wang Xiao, partner PwC e membro della commissione di review del nuovo board. Da lunedì 22 lo Star Market, il nuovo listino della Borsa di Shanghai che si propone come il Nasdaq cinese, ha registrato volumi totali per 5,65 miliardi di dollari, pari al 13% del turnover di tutti mercati finanziari cinesi e punta a diventare la colonna portante delle nuove riforme economiche di Pechino.
Il progetto è nato nel novembre 2018 quando il presidente Xi Jinping ha dichiarato che la Borsa cinese avrebbe sviluppato una propria versione dell’indice americano, allo scopo di sostenere la crescita economica stimolando i finanziamenti market-based, finora insufficienti.
Il governo ha intrapreso politiche monetarie proattive, tra cui un rilassamento delle regolamentazioni finanziarie. Volendo diventare un’alternativa al Nasdaq, il board ne ha anche adottato le normative. Nei primi cinque giorni di trading i titoli hanno potuto scambiare liberamente, mentre dal sesto sono soggetti a un limite del 20% in su o in giù.
Per le altre borse, il primo giorno è sottoposto a un limite del 44%, da cui i titoli possono salire o scendere del 10%. Per limitare la volatilità delle azioni, gli investitori sono obbligati a tenere le azioni acquisite per almeno un giorno lavorativo. In ogni caso, le vendite allo scoperto hanno costituto il 67% degli acquisti a margine della settimana, contro l’1,7% del resto della borsa. Shanghai ha anche imposto dieci minuti di congelamento nel caso in cui le azioni salgano o scendano più del 30% e in un secondo momento del 60%.
Tutto ciò si aggiunge al fatto che sullo Star Market si possono quotare compagnie prima che abbiano delle entrate (caratteristica di molte startup) e strutture azionarie a doppia classe, facendo del nuovo listino un concorrente della Borsa di Hong Kong e (si spera) assicurando che il prossimo colosso della portata di Alibaba si quoti a Shanghai. A due settimane dalla quotazione della trentesima società, la Borsa creerà un indice per monitorare i titoli.
Tra le quotate spicca Anji Microelectronics, il cui titolo lunedì 22 è salito del 521%. La società di Shanghai produce materiali per semiconduttori high tech e fluidi lucidanti chimico-meccanici utilizzati nella costruzione di microchip. Anji ha fatto passi importanti verso la fine della dipendenza cinese dall’import di tali liquidi dal Giappone, che ne deteneva il monopolio. Tra i colossi privati c’è anche Western Superconducting Technologies, uno dei centri di ricerca e sviluppo più importanti dell’Estremo Oriente per i prodotti in titanio e colosso high tech.
Anche Xi’an Bright Laser Technologies, il più grande fabbricante di sistemi di produzione di additivi metallici della Cina, e Fujian Forecam Optics, gruppo che produce lenti e apparecchi visivi per il settore militare. La società fa parte delle Top 100 China Security Companies e detiene il 78,6% del mercato cinese delle telecamere di sicurezza e il 12% di quello globale.
Allo star è approdata anche China Railway Signal & Communication Corporation (Crsc), specializzata in sistemi di controllo per treni, finora la prima e unica grande impresa statale a essere quotata nello Star. Il gruppo, avendo sviluppato e occupandosi della manutenzione del sistema di gestione e controllo del traffico ferroviario, è la punta di diamante delle ferrovie cinese e il più grande produttore al mondo di sistemi di controllo per treni.
I dubbi sul successo a lungo termine che potrà avere lo Star Market si fondano soprattutto sul fallimento del precedente tentativo della Cina di espandersi sui settori tecnologici con la creazione dell’indice ChiNext alla borsa di Shenzhen nel 2009. Oltre a non ottenere l’attenzione voluta, l’indice è stato anche una delle forza trainanti della bolla esplosa nel 2015, portando la borsa di Shanghai a perdere oltre 3mila miliardi di dollari. Al momento ChiNext è nel mercato orso a causa della guerra di dazi tra Cina e Stati Uniti. La diatriba pesa soprattutto sulle medie società private che non ricevono il sostegno del governo cinese.
A oggi solo uno dei componenti di Star Market è di proprietà statale ma l’indice è stato creato anche per evitare che le politiche tariffarie Usa abbiano la conseguenza di limitare i finanziamenti alle startup cinesi.