Venture, gli investitori cinesi tirano i remi in barca
Gli investimenti di venture capital hanno registrato un crollo verticale nel primo trimestre dell’anno, dopo un 2018 da vero boom. Ma la colpa è tutta degli investitori cinesi, che hanno tirato in remi in barca dopo essere stati per anni dei potenti motori di questo mercato e che ora da un lato vorrebbero passare alla fase del disinvestimento per realizzare i guadagni e dall’altro sono preoccupati per la guerra dei dazi con gli Stati Uniti. Per contro, i venture capitalist sia negli Usa sia in Europa si sono mantenuti a livelli di attività importanti. È il quadro tracciato da Kpmg nel suo ultimo Report Venture Pulse, che MF-Milano Finanza è in grado di anticipare.
Più nel dettaglio, a livello globale, gli investimenti dei venture capital l’anno scorso hanno toccato la cifra complessiva di 250 miliardi di dollari spalmati su oltre 15 mila operazioni, dopo che nel 2017 erano stati investiti 174,6 miliardi di dollari. Ma nel primo trimestre di quest’anno gli investimenti dei venture hanno cambiato direzione e sono scesi a soli 53 miliardi dalla cifra record di oltre 70 miliardi di dollari del quarto trimestre del 2018, appunto per la flessione degli investimenti cinesi, che sono crollati a 5,8 miliardi dai 10,1 miliardi di dollari del quarto trimestre 2018.
Per contro, i primi tre mesi del 2019 hanno visto gli Stati Uniti crescere a quota 32,6 miliardi, il secondo risultato trimestrale più alto degli ultimi sette anni. Il tutto dopo il record segnato nel 2018 a oltre 130 miliardi di dollari, dagli 83 miliardi del 2017. In Europa siamo scesi a 6,5 miliardi da poco sopra i 7 miliardi del trimestre prima, dopo che nel 2018 gli investimenti erano saliti a 24,4 miliardi di dollari dai 22,3 miliardi del 2017. L’incertezza dovuta alla Brexit un qualche peso inizia ad averlo.
Il tutto mentre il numero delle operazioni a livello globale è diminuito per il quarto trimestre consecutivo: solo 2.657 operazioni, il valore più basso in 31 trimestri dal secondo trimestre 2011.
La continua flessione del numero di deal è stata particolarmente marcata in Europa, con una riduzione da 882 operazioni nel quarto trimestre del 2018 a 487 operazioni nel primo trimestre del 2019, il dato più basso dalla fine del 2010.
Contestualmente, però, si sono registrate 10 operazioni su scaleup per un controvalore medio di oltre 125 milioni di dollari in questo trimestre, rispetto alle sei operazioni di queste dimensioni chiuse nel quarto trimestre 2018. In particolare in Germania ci sono stati tre mega-deal: N26 con 300 milioni di dollari, BioNTech con 211,5 milioni di dollari e Wefox con 125 milioni di dollari; due in Francia e cioè Doctolib con 174,8 milioni di dollari e Ynsect con 128,2 milioni di dollari; due nel Regno Unito, e cioè Ovo Energy con 281,6 milioni di dollari e Iwoca con 195,6 milioni di dollari.
Ma certo queste dimensioni non sono nulla rispetto a quelle che registrano gli unicorni negli Stati Uniti e in Asia. Tra le maggiori operazioni del trimestre si segnala infatti quella del valore di ben 5 miliardi di dollari di The We Company in nuovo nome di WeWork, il colosso del coworking; seguita a ruota da quella da 4,5 miliardi di Grab Taxi di Singapore.
E a proposito di mega-deal, il primo trimestre del 2019 ha visto la nascita di 24 unicorni a livello globale in diversi settori, di cui 15 negli Stati Uniti e 4 in Cina. Tuttavia, gli unicorni del primo trimestre non sono statunitensi né cinesi, ma sono in Australia (Airwallex), in India (BigBasket e Delhivery), in Francia (Doctolib) e in Germania (N26). Quattro di questi unicorni sono operatori fintech (Airwallex, Marqeta, Chime e N26).
Il crescente numero di unicorni fintech testimonia la rapida maturazione del settore sia negli Stati Uniti sia a livello globale. Dal 2014 il numero di unicorni negli Stati Uniti è più che raddoppiato a oltre 160 e molti di questi hanno scelto di quotarsi a Wall Street nel corso del 2018. Secondo Kpmg questa tendenza continuerà anche nel 2019. (riproduzione riservata)