L’imprenditoria privata portata a modello da Xi Jinping è quella di Zhang Jian. Impegnato a sostenere il welfare, promuovere l’istruzione, far crescere la Cina. Il personaggio cui il presidente cinese ha reso omaggio nel corso della sua visita nella provincia del Jiangsu è però morto nel 1926, dopo una carriera tra affari e politica a cavallo tra Cina imperiale sotto la dinastia Qing e la Repubblica.
Dettaglio comunque da tenere a mente nel giorno in cui il Wall Street Journal riferisce che la decisione di sospendere la quotazione in borsa del colosso del fintech Ant Group, costola del colosso dell’e-commerce Alibaba e di fatto controllata dal fondatore Jack Ma, è arrivata da Xi Jinping in persona. La frase, citata nell’articolo e che dà il senso dell’intera vicenda, è messa in bocca a un alto funzionario cinese: «A Xi non importa che qualcuno sia ricco o non lo sia, interessa che una volta arricchito i suoi interessi siano allineati a quelli dello Stato».
Con 34 miliardi di dollari, la doppia ipo su Shanghai e Hong Kong della fintech cinese, programmata per lo scorso 5 novembre sarebbe dovuta essere la più grande quotazione della storia. Peccato che sia stata anticipata lo scorso 24 ottobre da alcune dichiarazioni di Ma, in merito alla scarsa avversione al rischio dei regolatori cinesi e dalla volontà di riformare il sistema finanziario sfruttando l’innovazione. Parole che hanno toccato un nodo scoperto nella società cinese. Senza tornare indietro con la memoria alla crisi scatenata nel 2011 dal ricorso al sistema bancario ombra nelle metropoli di Wenzhou, sin dal crollo delle borse nel 2015 la stabilità finanziaria è in cima alle preoccupazioni della dirigenza di Pechino.
Negli ultimi dieci anni Ant, che nei mesi precedenti l’ipo ha cambiato nome togliendo il riferimento a Financial Services, ha trasformato interamente il modo con cui i cinesi interagiscono con il denaro. L’app Alipay dell’azienda è diventata uno strumento di pagamento quotidiano per centinaia di milioni di utenti. E più di recente il gruppo ha iniziato a fare da agente per le banche, avvicinando queste ultime a singoli mutuatari o a piccole imprese che altrimenti non sarebbero in grado di raggiungere e che non trovano credito nelle grandi banche.
Lo stop alla quotazione è stato anticipato dall’annuncio di una revisione delle norme sulle società che si occupano di microfinanza. Regole che tra l’altro aumentano i requisiti di capitale per i prestiti concessi da piattaforme fintech, con un conseguente aggravio dei costi.
Mentre si prepara ad affrontare un inasprimento della regolamentazione cinese riguardante il proprio business dei prestiti digitali Ant ha inoltre nominato un nuovo Chief Compliance Officer. Secondo quanto hanno reso noto fonti a conoscenza dei fatti a Dow Jones Newswires, si tratta di Li Chen, nel team della società dal 2016, e promosso al nuovo incarico din cui riferirà direttamente all'amministratore delegato Simon Hu.
Giovedì 11 novembre, invece, è arrivata la bozza di regolamento presentata dall’Antitrust cinese che punta a spezzare eventuali monopoli nel mercato digitale. Le linee-guida prendono di mira in particolare clausole di esclusiva, il trattamento preferenziale degli utenti più attivi e l’obbligo di acquistare pacchetti per accedere ai servizi d’interesse. La misura è costata una capitolazione delle Big tech in borsa pari a 280 miliardi di capitalizzazione.
Neppure Alibaba ne è uscita indenne, sebbene lo stesso giorno nell’annuale festival dell’e-commerce del Single Day sia stato quasi doppiato il precedente record di 38 miliardi di dollari di ordini, toccando quota 74 miliardi di cui 450 milioni di dollari per il Made in Italy, come spiegato dal general manager per il Sud Europa, Rodrigo Cipriani Foresio.
La partita però si è fatta politica. Il fondatore è ormai fuori dal board di Alibaba, da inizio ottobre, e non figura neppure in quello di Ant. Ma la sua presenza, come dimostra la convocazione delle authority prima dello stop conta. (riproduzione riservata)