Se fino a poche settimane fa la serrata dei negozi in Cina era all’ordine del giorno per contenere l’ondata di coronavirus, oggi sono gli store americani ed europei ad abbassare le loro saracinesche, soprattutto alla luce delle recenti restrizioni imposte dai governi. Nel frattempo, quelli cinesi riaprono.
La riduzione dei contagi nell’ex Celeste impero, infatti, sta spingendo le attività produttive ed economiche a rimettersi gradualmente in moto. È quanto sta accadendo in casa Apple, ad esempio. Il colosso di Cupertino, a causa della diffusione di covid-19, ha chiuso tutti i suoi negozi nel mondo fino al 27 marzo, a eccezione dei 42 punti vendita in Cina, che sono stati riaperti venerdì.
Stesso discorso per Nike, che ha annunciato la chiusura di tutti i suoi store negli Stati Uniti, Canada, Europa occidentale, Australia e Nuova Zelanda. Parallelamente, l’azienda di abbigliamento sportivo riaprirà gli store in Corea del Sud, Giappone e gran parte della Cina, mercati in cui l’epidemia ha superato il picco.
E in Cina rivedono la luce anche le boutique di Brunello Cucinelli, dopo più di un mese di stop. Ad annunciarlo è stato l’imprenditore umbro, che ha condiviso un video inviato dai suoi collaboratori di Shanghai, tornati alle loro postazioni negli store.
Si aggiunge alla lista il gruppo americano Abercrombie & Fitch, che ha deciso di sospendere temporaneamente l’attività di tutti i negozi dell’azienda nel mondo, fatta eccezione per quelli della zona Asia-Pacific. Se l’emergenza covid-19 ha influenzato negativamente parte del primo trimestre fiscale di H&M, provocando una perdita dei ricavi in Cina pari al 24%, a partire dal mese di marzo, e quindi dal secondo quarter, la ripresa nel Paese asiatico sembra sempre più concreta, mentre la diffusione del virus ha iniziato a impattare le vendite in Europa.
Negli ultimi giorni il gigante svedese di fast fashion ha deciso di chiudere temporaneamente i punti vendita in Polonia, Spagna, Repubblica Ceca, Bulgaria, Belgio, Francia e in parte della Grecia, nonché in Austria, Lussemburgo, Bosnia-Erzegovina, Slovenia e Kazakistan. Anche altri protagonisti del fast fashion come Inditex, Primark e Mango hanno preso decisioni simili.
Oltreoceano, la situazione non è diversa. A partire da ieri anche Gap ha ridotto il numero di negozi operativi negli Usa e in Canada e ne ha chiusi temporaneamente un centinaio nelle aree considerate a maggior rischio di contagio. Fino al 28 marzo, saracinesche abbassate per tutti gli store di Under armour sul territorio statunitense, così come per i negozi del gruppo Pvh, chiusi da oggi fino al 29 marzo in Usa ed Europa. (riproduzione riservata)