«Siamo di fronte a una vera e propria rivoluzione». Micaela Le Divelec Lemmi, ceo di Ferragamo, usa queste parole per raccontare il percorso di trasformazione della maison fiorentina. Approfondendo in un’intervista esclusiva con MFF tematiche come l’atteso rimbalzo della Cina, la questione supply chain, la necessità di garantire una continuità alle collezioni e questioni cruciali come la gestione degli affitti e gli ammortizzatori sociali.
Ieri il cda della società ha comunicato che il primo trimestre 2020 si è chiuso con ricavi in calo del 30,6% a 220 milioni di euro. Parallelamente è stata annunciata la revoca della proposta di distribuzione dell’utile di esercizio 2019. Creato inoltre un comitato esecutivo per far fronte all’emergenza. L’assemblea ordinaria è stata posticipata all’8 maggio.
Come si sta evolvendo la situazione in Cina? Stanno effettivamente arrivando i primi segnali positivi?
Devo dire che forse è l'unico spiraglio di luce che vediamo in questo periodo. Tra l'altro, anche l'atteggiamento dei colleghi cinesi è estremamente incoraggiante. Sono molto partecipi della situazione, avendola già vissuta. Si è creato un senso di famiglia molto più forte di prima.
Quanti dipendenti avete in Cina?
Sono circa 650 persone, tra mainland China, Hong Kong e Taiwan, che noi consideriamo come macroregion, Greater China. Di cui 550 sono nei negozi, più o meno.
Gli store sono tornati in attività su quel mercato?
In Cina hanno riaperto, non tutti ancora a orario pieno. Vediamo progressivamente un ritorno del traffico, anche se c'è un'area della Cina che purtroppo è stata nuovamente chiusa per il rischio del contagio di ritorno. Nonostante i primi giorni ci fosse molta speranza e si intravedesse la possibilità di un recupero rapido, in realtà c'è un po' di scetticismo anche da parte dei cinesi, in questo momento. Ogni giorno, in base alle notizie, ci sono complessità diverse che devono essere affrontate.
Avete già visto i primi segnali di un rimbalzo della domanda, anche con ordini digitali?
La Cina sta chiedendo prodotto. È anche vero che, nel mese di gennaio e di febbraio quando è scoppiata la pandemia in Cina, abbiamo rallentato il flusso della merce sul Paese. C'è l'impressione che ci sia proprio voglia di leggerezza. Per cui, soprattutto nei centri commerciali e nelle zone a più alto traffico, nonostante si continui a mantenere il rispetto delle regole, si vede proprio la volontà di tornare a una vita normale.
Però è una cosa molto lenta e che dipende dall'andamento giorno per giorno…
Assolutamente. La Cina continentale, grazie anche ai sistemi di controllo degli spostamenti delle persone, ha una situazione più monitorata. Invece, a Hong Kong, con il ritorno degli studenti che sono arrivati da tutti i Paesi occidentali riportando casi di coronavirus, da questa settimana tutti gli uffici sono di nuovo a orario ridotto. I negozi sono aperti, ma devo dire che il rimbalzo a cui stiamo assistendo nel mainland China non si vede ancora. Macao è completamente deserta, essendo destinazione per il leasure che in questo momento non è una priorità per nessuno.
Come state affrontando la tematica cruciale della supply chain?
Ogni giorno e ogni settimana c'è una situazione diversa. Attualmente, il lavoro che stiamo facendo è di valutazione e di analisi di ciò che può richiedere una graduale ripresa delle attività. Stiamo cercando di capire come e quando questo sarà possibile.
Poi ci sarà il problema di iniziare a fare le vendite, a pensare alle collezioni…
Il programma di sviluppo delle collezioni è proseguito, anche se a ritmo ridotto. Siamo andati avanti con l'obiettivo di avere delle collezioni che siano molto focalizzate, riflettendo e definendo dei calendari e dei timing anche di presentazione che a oggi non risultano ancora ufficializzati e che potrebbero subire ulteriori adattamenti. Detto questo, abbiamo tutte le attività concentrate sul sito fiorentino di Osmannoro, sia le attività di sviluppo delle collezioni, sia le attività di manovia, prototipia e campionario che quelle logistiche. Contando sul sostegno da parte delle autorità, il nostro obiettivo sarebbe quello di provare, nella piena tutela della salute dei dipendenti in primis e nel rispetto delle disposizioni, a far ripartire progressivamente le attività cercando di non interrompere il flusso, che per 15 giorni, è stato fermo e che un ulteriore prolungamento dello stop potrebbe rallentare in maniera consistente.
Qualcuno ha ipotizzato addirittura di salti stagione…
Francamente, non crediamo che possa essere una soluzione percorribile. Forse potrebbe esserci un dilatamento dei calendari dando più vita alle collezioni dentro ai negozi, con una dosatura delle delivery e una dilatazione della finestra di vendita, per quanto il tutto sia poi legato alle scadenze dei saldi. È vero che il calendario originario che avevamo fissato per la presentazione della pre-collezione non è praticabile. Credo che la chiave sarà che le collezioni debbano essere molto, molto focalizzate.
Cosa intende per focalizzate?
Valutando categoria merceologica per categoria merceologica, con una definizione aprioristica del numero dei key look che vogliamo andare a sviluppare, cercando di lavorare su concetti di prodotti che possano coprire le varie fasce di clientela, prezzo e i vari mercati. Lavorando poi sulla profondità degli ordini rispetto all'ampiezza. Soprattutto in questo momento sarà fondamentale che tutta la supply chain sia regolata sul fatto di lavorare su volumi di materiali in tempi ragionevolmente più brevi.
Quale sarà il primo appuntamento di vendita? Giugno?
Non so dare una data, perché l'obiettivo sarebbe presentare la main collection uomo e donna primavera-estate durante il mese di giugno. Non posso dire se all'inizio, a metà o alla fine. Tutto dipende dai tempi di riapertura. A un certo punto abbiamo ipotizzato per settembre, ma a settembre sarebbe troppo tardi e vorrebbe dire fare un salto eccessivo. Stiamo tecnicamente definendo la modalità, sicuramente proseguiremo l'esperimento dello showroom virtuale che è stato assolutamente positivo. Anche perché le persone non potranno spostarsi e quindi sarà molto difficile riuscire ad avere uno showroom fisico e in piena regola.
Per lo showroom virtuale, avete elaborato dei software ad hoc? Avete fatto qualche accordo?
Abbiamo realizzato un accordo con Hyphen per la realizzazione di immagini in alta definizione con una visione a 360°. Andando avanti, credo che questo sia uno degli strumenti che manterremo vivi, anche nell’ottica di dare un'opportunità di servizio aggiuntivo ai buyer. Lo abbiamo usato per la collezione dell'ultimo fashion show, perché i primi casi di coronavirus a Milano si sono verificati a ridosso della settimana della moda. Siamo stati obbligati a chiudere lo showroom fisico prima ancora di aver avviato le vendite e, nell'arco di 48 ore, abbiamo formalizzato e finalizzato questo showroom virtuale per tutti i mercati, incluso il wholesale.
La produzione, i fitting, la scelta dei materiali e dei tessuti potranno diventare virtuali?
Credo molto nell'uso della tecnologia al servizio dell'impresa. Ma onestamente bisognerà rompere alcuni tabù dei team stile e produzione in generale che non sono completamente a favore. Lo vedo più possibile nella fase di prototipazione. Se si parla poi della visualizzazione della collezione, del fitting e quant'altro, al momento vedo molto difficile poterlo fare in digitale. Credo che l'elemento umano, quello del lavoro manuale, della manodopera e il tocco creativo siano e rimangano fondamentali nel nostro settore. Si parla di manifattura e vedo difficile una manifattura completamente digitale.
A settembre pensate di sfilare co-ed. Ma bisogna vedere cosa succederà…
Esatto, bisognerà comprendere come. È tutto da capire se, effettivamente, questo discorso della distanza sociale e fisica sarà mantenuto. Stiamo facendo un esercizio di flessibilità e questo, in un settore come il nostro, forse, ogni tanto ci vuole. Parlo del fatto di ricentrarsi, immaginare ipotesi e scenari diversi e poi adeguarsi in funzione della possibilità. Non dobbiamo farci spaventare dal non avere una data certa o un calendario determinato, fa parte anche della creatività italiana il sapersi reinventare.
Siamo di fronte a una vera e propria rivoluzione. È una rivoluzione anche per Ferragamo?
È una rivoluzione, sì. Io credo molto nella capacità di adattamento e nello spirito di sopravvivenza dell'essere umano. Penso che le situazioni estreme siano forse quelle che ci mettono nella condizione di tirar fuori il meglio di noi stessi.
Bisogna essere pronti al cambiamento?
Forse cambieranno tante cose. È un po' difficile prevedere come, ma anche solo gli stili di vita dei consumatori si modificheranno e la moda dovrà adeguarsi in funzione delle nuove abitudini e dei nuovi gusti. Questa situazione di distanza sta facendo rinascere e ritornare certe sensazioni e la voglia di certe emozioni che si erano un po' dimenticate.
Siamo di fronte a una nuova era della moda?
Senz'altro. Diciamo che era un percorso che, per ragioni completamente diverse, era già in itinere. Ora c'è stata una brusca interruzione e probabilmente si ripartirà su diverse lunghezze d'onda, su tempistiche, metodologie e processi differenti. L’attenzione alla responsabilità sociale probabilmente si accentuerà così come i temi legati wellbeing. Altri fenomeni potrebbero scomparire o alleggerirsi.
Cosa scomparirà?
Penso che ci sarà una voglia di leggerezza, forse meno quella di eccesso. Per ciò che si è visto all'uscita di altre situazioni di crisi si tenderà un po' più alla sobrietà. Si guarderà a un sistema valoriale di brand che va oltre al prodotto.
La creatività cambierà?
Per forza. Mi è venuta in mente anche una tematica su cui ci stavamo interrogando, ovvero il vintage e il second hand. In realtà sembra che questo mercato abbia subito una brusca battuta di arresto perché c'è il timore di indossare indumenti dei quali non si conosce la reale provenienza. Inoltre alcuni canali, come il digitale, potrebbero avere un diverso ruolo.
Come vedete l'evoluzione del 2020?
Onestamente, non posso dire niente sui numeri e sulle previsioni. Ma questo mi toglie anche dall'imbarazzo di una situazione in cui si sta lavorando a scenari multipli. Penso che, quando la situazione sarà stabile, non so darmi un orizzonte temporale, ci sarà senz’altro la voglia di tornare ad auto-gratificarsi con una graduale ripresa dei consumi.
Molti hanno espresso difficoltà nel pagare gli affitti. Cosa ne pensa?
Questa situazione ha toccato tutti i settori. A mio avviso essendoci nella maggioranza dei casi rapporti di partnership con i landlord ed essendo il valore della locazione e degli spazi commerciali collegati all'attività che questi sono in grado di generare, sarebbe auspicabile una condivisione dell’onere. Ad oggi non è così, purtroppo. Devo dire che i proprietari dei negozi in Cina sono stati un grandissimo esempio, perché in alcuni casi, si sono spontaneamente rivolti ai loro affittuari per proporre delle nuove condizioni commerciali all’inizio della crisi da Covid-19.
Ricorrerete ad ammortizzatori sociali?
Abbiamo preso in considerazione tutti gli strumenti possibili nell’evolversi dello scenario. Come la maggior parte dei concorrenti, abbiamo iniziato con lo smart working e con l’utilizzo delle ferie residue. Nel momento in cui il decreto Salva Italia ci ha messo a disposizione i dovuti ammortizzatori sociali, ne abbiamo valutato l’utilizzo
Ci sarà quindi la cassaintegrazione?
Si tratta di una forma di protezione della forza lavoro, per salvaguardare i livelli occupazionali in attesa della ripresa della piena attività. Sono procedimenti diversi per il retail, per la produzione e uffici messi in atto dalla scorsa settimana. Nel nostro settore non si parla volentieri del far ricorso alla cassa integrazione, forse per la prima volta nella storia del mondo del lusso, fatta eccezione per alcuni brand transalpini, tutte le aziende hanno fatto ricorso alla cassa integrazione e agli strumenti messi loro a disposizione dai vari governi.
Sembrate molto coesi e focalizzati su dove volete andare. È un bel messaggio…
Sì lo siamo. Gli scenari sono mobili, ma c'è un forte impegno a tenersi reciprocamente aggiornati e allineati quotidianamente. È importante per tutto il team sapere che c'è una strada tracciata e che non si sta perdendo di vista l'obiettivo. (riproduzione riservata)