MENU
Azienda Manifatturiero

Il fast fashion in ritirata in Cina, chiudono negozi e vendite online

Tre sono i fattori che hanno indotto gli europei H&M, Inditex e Adidas e l'americana Nike a rivedere le loro strategie nel mercato del Dragone. A pesare soprattutto sono i lockdown anti-Covid e un progressivo cambiamento dei gusti dei giovani cinesi, più attratti dai brand made in China


27/07/2022 16:45

di Arianna Patuzzi - Class Editori

settimanale
helena Elmersson, ceo di H&M

Inditex, H&M, Nike, Adidas, il fast fashion concorda sul fatto che la Cina non sia più la El Dorado della moda. E dopo un decennio di forti investimenti sul mercato più promettente dell’Asia, iniziano uno dopo l’altro i dietrofront a causa del calo delle vendite e della complessa situazione post-Covid. Il progressivo shift nel gusto dei consumatori cinesi, che stanno progressivamente abbandonando l’entusiasmo per i brand occidentali a favore di quelli locali, è il terzo elemento che ha indotto i grandi gruppi del settore a rivedere le loro strategie. Ciononostante, il panel di analisti consultato da MFF (Class Editori) si è dimostrato ottimista, distribuendo rating positivi a tutti questi marchi.

Inditex negli ultimi due anni ha ridotto la rete di distribuzione cinese del 46,8%, passando da 570 a 303 punti vendita. Il colosso spagnolo aveva iniziato la ritirata chiudendo i negozi fisici di Stradivarius, Bershka e Pull&Bear, ma ora smetterà di distribuire i brand anche online e su Tmall. Continueranno invece le attività di Zara, Massimo Dutti e Oysho. Gli analisti comunque guardano il titolo positivamente. La maggioranza del panel ha confermato il rating buy per il colosso spagnolo che, nonostante le chiusure degli store per via della guerra russo-ucraina, nel primo trimestre ha registrato una crescita delle vendite del 36% anno su anno.

Anche H&M batte in ritirata, reduce delle politiche zero-Covid adottate dal governo cinese. Nel biennio 2019-2021 il gigante svedese ha chiuso 75 punti vendita dei suoi iniziali 520. A coronare la ritirata, la chiusura del mese scorso del flagship di Shanghai, il primo punto vendita che H&M aveva aperto in Cina nel 2007. Per l’azienda guidata da Helena Helmersson gli analisti si mantengono neutral, ma come il suo competitor spagnolo, anche il titolo svedese viaggia in rosso rispetto all’anno scorso, complici le ricadute della guerra in Ucraina.

L’ex Celeste impero sembra non essere più the place to be nemmeno per i due colossi dello sportswear Nike e Adidas. Entrambe le società sono state a lungo sotto i riflettori a seguito del caso Xinjiang e i loro bilanci ne hanno risentito. Nike per esempio ha registrato un calo delle vendite in Cina pari al 20% nel quarto trimestre e al 9% sull’anno.

Malgrado ciò, il gigante ha rimarcato il ruolo chiave della Cina nella sua strategia, che manterrebbe comunque un potenziale di crescita attraente. In ogni caso gli analisti assegnano al titolo un rating buy con un target price di 137,46 dollari (pari a 135,58 euro al cambio di ieri), che nonostante la crisi sanitaria e la guerra è in netta crescita sull’orizzonte dei cinque anni.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Adidas, che nel primo trimestre 2022 ha registrato un -34,6% di vendite in Cina, accompagnate da un -16% per la zona Asia Pacifico. Gli analisti sono comunque ottimisti e hanno assegnato un rating buy anche a questo titolo, con un target price pari a 123,46 dollari (121,73 euro). (riproduzione riservata)


Chiudi finestra
Accedi