«Il mio sogno è di vedere i veicoli Geely sulle strade di tutto il mondo». Eric Li è più vicino a realizzarlo di quanto la gran parte degli automobilisti sappia. Nel giro di poco più di un decennio, il 59enne imprenditore cinese ha costruito una rete di partecipazioni che spazia da Volvo a Lotus, da Mercedes-Benz a Smart. La vasta gamma di pacchetti azionari fa capo a Zhejiang Geely Holding, gruppo con sede ad Hangzhou e con un giro d'affari di circa 48 miliardi di euro. Nel suo portafoglio è appena entrato il 7,6% di Aston Martin a cui, secondo indiscrezioni, potrebbe presto aggiungersi il 40% della divisione di Renault dedicata alle motorizzazioni diesel e benzina. Diversi esperti considerano Geely l'alleato ideale per i piani di espansione di Stellantis in Cina. Ma chi è Eric Li, al secolo Li Shufu?
Di umili origini, Li dimostra sin da giovane spirito d'iniziativa. Dopo gli inizi da fotografo per turisti, fonda il suo studio e costruisce macchine fotografiche. Questa esperienza ingegneristica si rivela utile nel lancio della seconda iniziativa imprenditoriale: un'azienda di recupero di metalli preziosi dai rifiuti industriali. Il business si dimostra redditizio ma facilmente replicabile; in breve, perciò, Li Shufu decide di avviare un'altra attività: la fabbricazione di frigoriferi. Nasce Geely, parola simile al cinese “fortunato”. Di nuovo, però, la competizione torna a mordere i margini e di nuovo l'imprenditore opta per una svolta industriale. Probabilmente frustrato dalla concorrenza al ribasso dei compatrioti, infine, Li decide di avventurarsi nel settore con le più elevate barriere d'ingresso: l'auto.
Gli esordi non sono facili. Le prime vetture assemblate negli stabilimenti Geely nel 1998 sono di qualità tanto scadente che Li preferisce non metterle in commercio. Gradualmente la produzione migliora e la casa arriva nel 2005 a superare le 100 mila vendite in Cina, imboccando un sentiero di rapida crescita. Il salto industriale arriva però cinque anni più tardi, nel 2010. Prostrata dalla grande crisi finanziaria, Ford si vede costretta a vendere tutti i suoi marchi premium, fra cui Volvo. Al termine di un lungo negoziato, Li si aggiudica il costruttore svedese per 1,8 miliardi di dollari. È l'inizio di una strategia di espansione che porterà in pochi anni Geely a diventare un gruppo tentacolare con partecipazioni in una miriade di aziende attive nei settori più disparati: moto, taxi londinesi, satelliti, banche. Una costellazione azionaria che tuttavia orbita sempre intorno all'auto e ai costruttori occidentali.
ll portafoglio europeo di Geely vale oltre 30 miliardi, considerando le sole aziende quotate. Il pezzo più pregiato resta Volvo Car che, puntando con grande anticipo sull'elettrico, è tornata ai fasti di un tempo. Il suo piano di ristrutturazione è durato un decennio ed è culminato nella quotazione a Stoccolma conclusa sul finire del 2021. L'82% della casa svedese ancora in mano a Geely vale circa 10,5 miliardi, dieci volte il prezzo corrisposto dal gruppo cinese per rilevare il 100% da Ford nel 2010. Sei mesi più tardi è toccato alla controllata di Volvo, Polestar, prendere la strada della borsa con l'approdo a Wall Street via spac. E, non appena i mercati lo consentiranno, Geely ha già messo in agenda l'ipo della britannica Lotus Cars.
La strategia finanziaria di Li appare insomma piuttosto chiara: comprare costruttori in difficoltà, ristrutturarli e infine quotarli, mantenendone però il controllo. Meno evidente è la ragione industriale della voracità di Geely: a cosa servono tante partecipazioni in altrettante aziende concorrenti? «Riteniamo che per creare prodotti migliori per i consumatori occorra ricorrere a economie di scala e mettere a fattor comune le competenze», ha spiegato di recente l'ad di Zhejiang Geely Holding, Daniel Li. «In questa era di estreme discontinuità industriali, nessun marchio può permettersi di andare da solo: dobbiamo lavorare insieme all'innovazione, scambiare informazioni e condividere le risorse per creare un futuro sostenibile». Questo proposito nobile ha sorretto una filosofia antesignana nell'industria dell'auto, che ha per esempio portato allo spinoff e aggregazione dei motori endotermici di Volvo e Geely nella joint-venture Aurobay.
Sinora, il conglomerato cinese si è sempre dimostrato rispettoso dell'autonomia delle controllate e del loro retaggio produttivo, evitando le delocalizzazioni. Il suo apporto strategico e industriale è stato determinante in molte situazioni, per esempio nel rilancio di Smart con un'alleanza paritetica con Daimler. D'altra parte, è innegabile che le acquisizioni abbiano consentito a Geely di appropriarsi del know-how europeo e di trasferirlo in Cina.
La casa cinese ha così potuto migliorare i propri prodotti che oggi sono diventati concorrenti credibili -e spesso più convenienti- delle auto occidentali. Dietro la professione di buone intenzioni da parte di Geely, però, qualcuno ha iniziato a sospettare che si celi una volontà egemonica. In una rara e inusuale intervista doppia, di recente, l'ad di Mercedes-Benz, Ola Kallenius, e Winfried Kretschmann, presidente del Land Baden-Wurttemberg dove la casa ha sede, hanno escluso che i soci cinesi, il gruppo Baic e lo stesso Li, possano superare l'attuale 20% e così rilevare una minoranza di blocco nel costruttore tedesco. Un veto preventivo, opposto ancora prima che -perlomeno ufficialmente- i due azionisti manifestassero il desiderio di salire nel capitale di Mercedes. Il faro europeo sull'Henry Ford cinese è acceso. (riproduzione riservata)