«Per le aziende italiane ed europee è il momento di insistere con la Cina, che ha perso con Stati Uniti e Australia i suoi clienti migliori e ora ha bisogno di sostituirli con partner affidabili, che difficilmente trova in altre parte del mondo, non certo in Africa o in Sud America».
La visione geopolitica di Saro Capozzoli, fondatore di Jesa Capital, attiva a Shanghai, che da circa 30 anni sta aiutando imprese europee a entrare sul mercato cinese e più recentemente ha incominciato ad aiutare aziende private quotate cinesi che vogliono internazionalizzarsi, è corroborata dall’osservazione diretta che il prodotto made in Italy, sia tecnologico che di design o alimentare, è molto apprezzato in Cina.
Domanda: Però i dati di export dall’Italia alla Cina sono in calo continuo, -16% anche nel primo trimestre di quest’anno, secondo l’Ice. Come mai?
Risposta: Le imprese italiane scontano una presenza diretta ancora limitata, presenza che sta alla base di una buona performance. Basti pensare che a fronte di circa 1200 aziende italiane, cui molte sono società di una sola persona oppure uffici di rappresentanza o di trading, ci sono circa 26 mila aziende tedesche, e addirittura circa 450 aziende finlandesi, un paese che ha poco più di 5 milioni di abitanti.
D: Che cosa bisognerebbe fare?
R: Imparare dalle storie di successo, come quella della Beretta Salumi, sbarcata in Cina nel 2004, che ora ha il 70% di quota di mercato dei prosciutti e salumi. O quella del consorzio francese Acs Group, che riunisce 300 piccoli viticoltori e in Cina vende vino per 440 milioni di euro l’anno, con 1500 venditori sul territorio. L’Italia, primo produttore di vino al mondo, ne vende in Cina solo per circa 100 milioni di euro. La Francia in totale 1,6 miliardi, avendo presenza diretta commerciale nel paese e dopo aver investito moltissimo in comunicazione.
D: Con il calo dei consumi e il rallentamento della crescita questo non è forse il momento migliore per investire in questo mercato?
R: Al contrario è il momento di rilanciare approfittando di una congiuntura geopolitica favorevole all’Europa e dei programmi di investimento del governo, in tutti i settori interessanti per il made in Italy.
D: Può spiegare?
R: Nell’alimentare, per esempio, il governo sta spingendo molto verso un upgrade tecnologico della catena del freddo e per creare fiducia nella popolazione verso i consumi di prodotti congelati o imbustati, come per l’insalata. Molte imprese italiane sono all’avanguardia nel fornire impianti per le confezioni e le lavorazioni, oltre che nella catena del freddo. E molto da fare ci sarà nel biomedicale
D: Perché?
R: La ricerca, la produzione di device e la telemedicina stanno avendo uno sviluppo enorme, quest’ultima in particolare spinta anche dalla diffusione del 5G che nel giro di un paio d’anni sarà standard in tutta la Cina, consentendo ai centri sanitari più sperduti di operare in contatto con gli specialisti nelle grandi città.
D: E per l’industria pesante che opportunità vede?
R: In Cina c’è una rivoluzione in atto nella siderurgia, perché nei prossimi 5 anni oltre la metà della produzione di acciaio dovrà essere fatta in forni elettrici, che significa circa 40 milioni di tonnellate l’anno che dovranno trasformarsi dall’acciaio primario, cioè prodotto dal minerale, al secondario, fatto con il rottame, che significa anche un prodotto finale di migliore qualità. Vuole dire che migliaia di acciaierie dovranno essere riconvertite, un business colossale per chi si occupa di automazione di impianti.
D: E nell’automotive che prospettive vede?
R: Il governo cinese ha di recente abbandonato come priorità il passaggio all’elettrico come sistema di propulsione, infatti ha tolto gli incentivi l'estate scorsa, perché si è reso conto dell’enorme consumo di energia che un parco di milioni di auto elettriche richiederà, senza contare il problema dello smaltimento delle batterie stesse.
D: Quindi?
R: Per una mobilità sostenibile il governo cinese si sta orientando alla propulsione all’idrogeno puntando sul sistema Toyota, che è leader mondiale con un modello già in vendita da anni, la Mirai, ma puntando anche verso i mezzi pesanti, treni propulsi a idrogeno. Ci sono diverse aziende italiane di componenti per i motori a idrogeno o ibridi, nel bresciano in particolare, che hanno già drizzato le antenne verso questo mercato.