Qualche giorno fa si è chiusa a Pechino la sessione del Comitato Centrale del Partito Comunista che aveva quale oggetto principale di discussione il quattordicesimo Piano quinquennale 2021-2025.
Nel precedente Piano (il 13°) erano contenuti degli obiettivi ambiziosi che non si sono potuti realizzare completamente anche perchè l’impennata pandemica del Coronavirus, come nello spostamento repentino dei tifoni, ha colpito lateralmente o di striscio la Cina (ormai questo dato è oggettivamente inconfutabile) che comunque ne ha accusato il colpo nel primo semestre 2020.
Ci sono due punti importanti da valutare nel contesto di sviluppo di questi ultimi anni, caratterizzato da un pil in crescita, anche se con un rallentamento finale, dallo sviluppo tecnologico e dal rafforzamento produttivo e finanziario. Il primo aspetto è quello del settore agricolo ed alimentare: senza cibo ogni discussione anche tecnologica non può trovare terreno di crescita.
Su questo fronte per cinque anni si è avuta una produzione di grano mediamente di oltre 600 milioni di tonnellate, pari al 18 % di quella mondiale mentre per il riso la Cina si è confermata il primo produttore nel mondo con una quota del 29%, senza trascurare il settore ortofrutta che ha raggiunto valori oltre il 40% per l’uva da tavola ed il 54% per le mele.
Solo la soia, per ragioni prevalentemente strategiche risente di una produzione limitata ed è stata importata dagli Stati Uniti come componente del famoso accordo del pacchetto di acquisto annuale da parte della Cina, accordo ormai dimenticato, perchéi l’approvvigionamento è garantito da Sud America, Russia ed Africa.
In aggiunta, notizia di questi giorni, ad un anno di distanza,l’epidemia delle febbre suina è stata praticamente debellata e per il prossimo capodanno cinese vi sarà prodotto a sufficienza con prezzi di vendita in linea con quelli dell’ultimo trimestre del 2018.
Quando il Presidente Xi Jinping aveva introdotto il paradigma della dual circulation la scorsa estate, uno dei dati certi era rappresentato dal fatto che la situazione alimentare del Paese era ormai in condizione di autosufficienza e permetteva l’affrancamento da eventuali negoziati bilaterali o multilaterali.
Il secondo punto, altrettanto importante, è la riduzione del fenomeno della povertà per 56 milioni di abitanti residenti in zone rurali e nel contempo la creazione di 60 milioni di posti di lavoro nelle aree urbane e suburbane con conseguenti migrazioni interne che hanno sì comportato problemi ai lavoratori migranti, ma che comunque hanno garantito reddito trasferito nei luoghi di origine.
Qualche giorno fa, un reportage trasmesso su CCTV raccontava, a partire dal 2017, l’evoluzione di un villaggio nel distretto di Shawan incuneato tra le province meridionali del Guangdong e del Guangxi, dove si poteva osservare come l’agricoltura basata sul terrazzamento per la coltivazione del riso fosse ancora concepita e praticata in maniera atavica.
La Cina che segue ancora i ritmi del tempo e delle stagioni probabilmente scomparirà entro il 2035, data fissata dal CPC quale corollario del terzo Piano quinquennale della nuova era che, a partire dal prossimo primo gennaio, sarà anche ricordato per la celebrazione del centenario della fondazione del Partito Comunista cinese a Shanghai in una piccola sede nella Concessione francese nel luglio del 1921 ad opera di Mao Zedong e di altri dodici delegati.
Questi due momenti di storia politica ed economica hanno semplicemente la funzione di dare corda a un fenomeno storico unico nella rappresentazione mondiale, una crasi tra ideologia, fortemente radicata, e tecnologia; ed è proprio in questa direzione che il recente Comitato centrale ha focalizzato il proprio dogma sull’innovazione che dovrà modernizzare il Paese concentrando la propria fiducia e saggezza, termine spesso usato dal Governo, sulla scienza e tecnologia quali pilastri per lo sviluppo del Paese.
Lo sviluppo stesso dovrà comprendere importanti investimenti nelle infrastrutture, trasporti, energia e digitalizzazione con la conferma di un ruolo primario delle State-owned enterprised (soe), rivitalizzate e razionalizzate mentre è stato messo in secondo piano se non giubilato il progetto Made in China 2025.
Risulta evidente che la dual circulation ha assunto la natura di un mantra ed ora o mai più diventerà parte del quadro ideologico e strategico del futuro. Non manca nulla alla Cina: l’alimentazione che ha fatto dimenticare uno degli angoscianti problemi degli anni passati quando era imperativo garantire la “iron bowl of rice”, la ciotola di ferro per la razione giornaliera di riso, le infrastrutture e soprattutto il cibo divino del futuro ovvero la tecnologia.
Rimangono, tuttavia, due questioni aperte: l’ambiente dove, a fianco delle rinnovabili si vuole pervenire ad una decarbonizzazione del Paese ancora difficile da realizzare. Il fermo di questi giorni delle importazioni di carbone dall’Australia, in aggiunta ad altre commodities quale l’orzo, il legname e le aragoste per problemi di natura tecnico commerciale, con una diversificazione delle medesime dalla Mongolia attraverso un sistema ferroviario costoso e ad alto impatto ambientale, è l’esempio di come non si sia ancora programmata l’importazione di gas naturale dalla penisola di Yamal nel territorio russo siberiano attraverso il gasdotto ormai ultimato.
La seconda area è quella relativa alla Belt & Road. Benchè venga accomunata ad un ulteriore sbocco della dual circulation, presenta attualmente tante zone d’ombra, come la vicenda, conclusasi qualche giorno fa, della restituzione di un prestito da parte dello Zambia, produttore di rame in declino per il venir meno della domanda.
“Per vincere in un difficile agone commerciale il miglior approccio è vincere senza combattimento e l’essenza di questo approccio è quello di vincere il cuore del popolo e ricevere consenso dallo stesso”, cita spesso Xie Weishan, co-fondatore di Kmind Consulting, società di consulenza strategica cinese, pensiero che trae spunto dall’Arte della Guerra di Sun Tzu. È quello che la Cina sta cercando di fare. (Riproduzione riservata)
*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni