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Politica

Avanti ma con cautela, sondaggio tra le imprese italiane in Cina

Per la maggioranza c'è l'impegno a restare nel mercato più grande del mondo ma con una rimodulazione dell'attività che tenga conto del calo della domanda interna e di un aumento della concorrenza dei produttori locali. Intervista a Paolo Bazzoni presidente della Camera di commercio, che ha realizzato il sondaggio


11/12/2023 12:26

di Pier Paolo Albricci - Class Editori

settimanale
Paolo Bazzoni, presidente della Camera di commercio italiana in Cina

Resto ma tento di diversificare il rischio mercato, guardando a un 2024 problematico soprattutto sotto l’aspetto della concorrenza. È questa in estrema sintesi il sentiment, alla fine di un anno difficile, della maggioranza delle imprese italiane che operano in Cina, come emerge dall’ormai tradizionale survey promossa dalla Camera di commercio italiana in Cina.

Al questionario sottoposto dalla Camera ai suoi 750 iscritti lo scorso ottobre ha risposto in maniera puntuale oltre il 65%, percentuale giudicata elevata da Paolo Bazzoni, presidente della Camera, che ha accettato di commentare con Milano Finanza i risultati della survey.

Domanda: Tutti la scorsa primavera si aspettavano un anno di forte ripresa dopo il Covid. Che 2023 è stato?

Risposta: I due trimestri successivi alla primavera sono stati i più problematici che la Cina ha vissuto negli ultimi anni, con la domanda interna raffreddata, l’export in calo, ma soprattutto un forte calo della fiducia dei cinesi nella loro economia. Il governo non ha messo in campo nessuna azione decisa per supportare famiglie e pmi, di conseguenza il mancato sostegno alla domanda interna si è riverberato sull’andamento delle aziende, sul loro conto economico e sulle prospettive.

D. In concreto?

R. Oltre il 62% delle imprese del nostro sondaggio non prevede di raggiungere quest’anno i key performance index in termini di fatturato. Addirittura il 35% delle imprese prevede un calo rispetto al 2022, un anno funestato dalla restrizioni dovute al Covid.

D. E in termini di margini?

R. Lo scenario è ancora peggiore poiché oltre il 55% delle imprese non prevede di raggiungere nemmeno il 60% di quanto preventivato a budget. Solo il 31% vede i propri risultati in linea con il budget. Tuttavia, segnalo che c’è un 43% di aziende che prevede di chiudere l’anno con una crescita degli utili rispetto al 2022 superiore al 10% e un 9% di best performer che chiuderanno con un utili superiori del 50% al 2022.

D. Qual è l’outlook 2024?

R. La preoccupazione di gran lunga principale è il rallentamento dell’economia cinese con la conseguente riduzione della domanda interna. In secondo luogo, le aziende segnalano l’aumento dei costi, l’aggressiva concorrenza degli operatori locali e le crescenti difficoltà nel mercato del lavoro.

D. Come stanno reagendo le imprese a questa situazione?

R. Tutte stanno operando per rimodellare la loro attività per essere più efficienti, da un lato, e dall’altro per affinare la strategia di posizionamento.

D. In che senso?

R. Essere presenti in Cina rimane una scelta strategica valida per la stragrande maggioranza, ma a certe condizioni.

D. Spieghi meglio?

R. Una prima condizione è di operare in questo mercato in modo più efficiente, selezionando, per esempio, il portafoglio clienti o migliarando la supply chian, e magari anche i prodotti, puntando più sulla value proposition che non sulle quantità: quindi meno volumi ma più marginalità. E soprattutto una scelta accurata degli obiettivi. Sparare in molte direzioni può diventare un suicidio quando la concorrenza dei produttori locali sui prezzi è micidiale.

D. Altre strategie?

R. Fare in modo che, pur stando in Cina,  non sia l’unico mercato su cui puntare. Cercare, quindi, di aprire dei canali commerciali con i paesi dell’area Asean oppure con gruppi internazionali che sono in Cina, per i quali l’offerta italiana potrebbe essere interessante.

D. E per quanto riguarda le filiere, dove conviene di più puntare?

R. Nel medio lungo termine, da 2 a 5 anni per intenderci, è interessante notare che nonostante le difficoltà contingenti il 54% delle imprese ha indicato un’aspettativa di crescita nel proprio settore di attività, mentre un 20% prevede una diminuzione. Ma il 58% delle imprese ritiene che l’accesso a uno dei mercati più grandi del mondo resti comunque un grande vantaggio competitivo.

D. Ma quali settori?

R. La camera sta puntando tutti i suoi sforzi per agevolare l’attività nei settori di forza del made in Italy, quindi meccanica e meccatronica, prodotti per la transizione energetica, lifestyle nel senso più ampio, allargato ad accessori e componenti, agrifood, farmaceutica e apparecchiature.

D. Come intendete operare per favorire il sistema Italia in queste filiere?

R. Il nostro obiettivo è di organizzare nei territori cinesi dei tavoli di incontro tra i produttori cinesi e l’offerta italiana, in modo che le aziende conoscano direttamente quelle che sono le esigenze dei produttori locali e possano fare delle offerte precise.

D. Può fare degli esempi concreti?

R. Nello Yunnan, una regione del sud che produce grandi quantità di tè e caffe, abbiamo verificato la forte esigenza di esportare, alzando e qualificando il loro prodotto. Per farlo abbiamo proposto di coinvolgere Goglio, presente in Cina da molti anni e leader nel packaging alimentare, e Fiera di Bologna per organizzare eventi annuali ad hoc in cui coinvolgere le filiere italiane.

D. Quale strategia consiglia in momenti di difficolta come l’attuale?

R. Osservo che in questi frangenti di mercato essere in jv con produttori locali può essere un vantaggio, mentre quando il mercato tirava essere operativi senza dover mediare con un partner locale poteva essere più conveniente. Aziende come Iveco, Bracco, la stessa Pirelli, che in Cina operano con soci locali, stanno tenendo bene e anzi Iveco ha deciso di aumentare l’investimento su una piattaforma di elettrico.

D. Il mercato dell‘auto elettrica può essere un’opportunità?

R. C’è un eccesso di offerta, perché vi operano tutti i player mondiali, e poi ci sono segni di rallentamento, anche se rappresenta ormai il 30% dell’intero mercato auto che è il maggiore del mondo. Poi ci sono enormi problemi di scala. Come riuscire a essere competitivi, per esempio nella batterie, dove operano produttori come Catl che fanno fatturati di miliardi di dollari e sono leader mondiali nelle batterie al litio con quote di mercato intorno al 35%? (riproduzione riservata)


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