La notizia che più ha colpito gli operatori è stata oggi la comunicazione della Bank of China, una delle big pubbliche, quella forse più legata al governo, di rimandare di una settimana l'apertura delle filiali in tutta la Cina. È un segnale molto forte, hanno commentato alcuni operatori a Shanghai, che questa mattina hanno riaperto uffici e fabbriche dopo le vacanze del Capodanno cinese (25 gennaio) e quelle forzate, dal 3 febbraio, per limitare gli effetti del contagio da coronavirus.
A Shanghai, uno dei principali termometri del clima che si vive nel Dragone nelle ultime settimane, in molti uffici si sono presentati al lavoro solo una minoranza degli addetti, in alcuni casi il 10-15% del totale. La bassa presenza sul posto di lavoro è stata determinata sia dalla necessità di rispettare le stringenti normative igieniche e di compotamento emanate dalle autorità locali per limitare possibili contagi, per esempio evitare l'uso dei condizionatori e garantire il massimo di aerazione degli spazi, sia da difficoltà logistiche e di trasporto.
Secondo dati diffusi dalla municipalità dell'hub finanziario cinese, circa il 70% delle attività manifatturiere ha riaperto, mentre circa il 10% ha preferito rinviare ulteriormente. Tra le disposizioni amministrative c'è il divieto di licenziamento per chi non si presenta regolarmente al posto di lavoro.
A Pechino e Shenzhen, le autorità municipali hanno dato il via libera al ritorno a lavoro, esortando tuttavia le aziende a procedere con flessibilità. Fa eccezione Wuhan, epicentro dell'epidemia, dove, salvo nuove comunicazioni, si riprenderà a lavorare dal prossimo 14 febbraio.
A Pechino, nel fine settimana, il sindaco Chen Jining, ha visitato alcune aziende nel quartiere di Zhongguangcun, il distretto dell'innovazione tecnologica della capitale, per verificare che tutto fosse pronto per riprendere le attività, in piena sicurezza.
A Shenzhen, capitale tecnologica del Paese, la necessità di rimettere al lavoro le fabbriche si incrocia con i timori per il ritorno nella metropoli di milioni di lavoratori migranti, in arrivo da altre parti del Paese. Ecco perché la municipalità ha messo a disposizione delle aziende un'applicazione sulla quale trasmettere i piani di ripresa della produzione.
Alcune società hanno tuttavia preferito prolungare ulteriormente le chiusure. Tra questa Foxconn, gruppo taiwanese fornitore tra gli altri di Apple. Negli stabilimenti, secondo quanto riferito dalla Nikkei Asia Review, ci sarebbero ancora alti rischi di infezione. L'azienda si sta pertanto coordinando con l'amministrazione locale per valutare se i sistemi di contenimento del virus e di quarantena siano adeguati. «Siamo in contatto con le autorità lolcali e non abbiamo ricevuto sollecitazioni dai clienti per riprendere prima l'attività», ha comunicato Foxconn in una nota.
Trascorse due settimane dalla fine del Capodanno Lunare la chiusura prolungata rischia di avere ripercussioni sulla crescita complessiva del 2020. Già l'Accademia cinese per le scienze sociali, principale think tank governativo, ha stimato per il primo trimestre il rischio che il ritmo di espansione della seconda economia al mondo possa andare sotto la soglia del 5%, pur prevedendo una ripresa nella seconda parte dell'anno. Da ciò l'esortazione del Consiglio di Stato, l'esecutivo cinese, di riaprire gli stabilimenti quanto prima.
Intanto sono arrivati alcuni dati ufficiali, in una nota di Dong Lijuan, analista dell'ufficio statistico centrale, sull'impatto del coronavirus nell'economia. Il primo riguarda l'inflazione dei prezzi al consumo che ha toccato, in gennaio, il livello più alto degli ultimi otto anni.
L'indice è salito del 5,4% a/a , la lettura pù alta dall'ottobre 2011. L'indicatore chiave di inflazione ha accelerato rispetto al +4,5% a/a di dicembre e al di sopra della previsione di consenso di un aumento del 4,9% a/a da parte degli economisti contattati dal Wall Street Journal. Su base mensile, l'indice Cpi e' aumentato dell'1,4% da dicembre.
I prezzi dei prodotti alimentari a gennaio sono cresciuti del 20,6% rispetto all'anno precedente, rispetto al +17,4% a dicembre. I prezzi della carne di maiale, influenzati dalla scarsità di prodotto causata dalla pestre suina che ha provocato abbattimenti di massa, sono aumentati del 116% rispetto all'anno precedente a gennaio, estendendo l'aumento del 97% a/a di dicembre. Solo i prezzi della carne suina hanno spinto l'indice Cpi cinese di 2,76 punti percentuali a gennaio.
Nella provincia di Hubei, che è stata colpita più duramente dall'epidemia di corona-virus, con l'inflazione dei consumatori superiore alla media nazionale di gennaio, al 5,5%. Nel frattempo, i prezzi industriali in Cina hanno ripreso a salire, dopo la deflazione dei mesi scorsi.
L'indice dei prezzi alla produzione, un indicatore dei prezzi di fabbrica, è cresciuto dello 0,1% rispetto all'anno precedente a gennaio, rispetto a un calo dello 0,5% a dicembre e in aumento per la prima volta in sette mesi. Gli economisti si aspettavano che l'indice rimanesse piatto a gennaio di un anno prima.
Sulla base di questi dati, alcuni analisti valutano che la Banca centrale, la People Bank of China, ridurrà ulteriormente il coefficiente di riserve delle banche commerciali (RRR) e taglierà il tasso di prestito di 25 punti base, durante il corso del 2020, alimentando una ripresa dell'economia.
Alcuni osservatori ricordano il rimbalzo che ci fu dopo l'epidemia di Sars nel 2003 e valutano che gli effetti dell'epidemia da coronavirus saranno una forte spinta agli investimenti soprattutto nella filiera dell'agrifood e nella catena del freddo per adeguarla alle normative internazionali e per il progressivo cambiamento di abitudini alimentari dei cinesi urbanizzati.
Secondo Liu Xuezhi, economista di Bank of Communications, la quinta banca cinese, i dati sull'inflazione di gennaio non mostrano ancora il pieno impatto dell'epidemia di coronavirus, che sta indebolendo la domanda di prodotti di consumo. «L'intera produzione nello Hubei, in particolare dei prodotti prima necessità, è nel caos adesso, ma la situazione non dovrebbe durare a lungo», ha aggiunto Liu.
Le persone acquistano meno e mangiano di meno per paura di contrarre il virus, un effetto negativo sulla domanda che dovrebbe superare l'impatto delle interruzioni dell'offerta, sottolinea l'esperto, aggiungendo che l'inflazione potrebbe diminuire leggermente a febbraio. Le previsioni della banca per la crescita del Pil del primo trimestre cinese sono comprese tra il 5,2% e il 5,5%, prima di una ripresa nel secondo trimestre quando l'epidemia si attenuera', conclude Liu.
Un altro analista, Ding Shuang di Standard Chartered valuta che «l'aumento dell'inflazione in Cina, trainato dagli shock dell'offerta dovuti all'epidemia di peste suina africana negli scorsi mesi e al coronavirus oggi non ostacolerà l'allentamento monetario cinese, diretto ad arrestare la recessione economica».
Gli shock all'approvvigionamento saranno mitigati quando la produzione verrà ripristinata e la diffusione della peste suina e del coronavirus saranno sotto controllo, se ondo Ding. L'inflazione core cinese, fa notare l'economista, era solo dell'1,5% a/a a gennaio. Per questo Ding si aspetta che Pechino aumenti in modo significativo la spesa fiscale e il disavanzo nel 2020, allentando la politica monetaria della PBoC fino a quando la crescita non si stabilizzerà. (riproduzione riservata)