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Politica

Caos mascherine: tra Cina e Italia c'è anche un problema dogane

In Cina la produzione aumenta ma ci sono blocchi e disguidi sulle esportazioni anche verso l'Italia, dove c'è ancora molto bisogno dopo le ordinanze della Lombardia e della Toscana. Alla base dei problemi la distinzione tra dispositivi a uso medicale e civile. Problemi anche sull'invio dei nuovi test anti-Covid


09/04/2020 11:06

di Marco Leporati*

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La Cina, alla riapertura delle attività nello scorso mese di febbraio, ha iniziato, su indicazioni governative, un’azione di riconversione produttiva che ha permesso una relativa maggior disponibilità ma non ancora sufficiente a coprire la domanda giornaliera proveniente dal globo per quasi tutti i Paesi colpiti dall’epidemia.

La Cina, nelle ultime settimane, è stata in grado di produrre centocinquanta  milioni di mascherine ogni giorno sia per la popolazione cinese  che per l’export attraverso partenze giornaliere di charters stipati di materiale medico, charters come unica connessione del mondo.

Ciononostante le mascherine incluse nella lista delle Dotazioni di protezione individuale (DPI) hanno scarseggiato sia per le strutture ospedaliere sia per il personale impegnato in azioni di contrasto al Covid 19 e, non da ultimo, per la popolazione.

Tanto più che la recente ordinanza emanata dal governatore della Regione Lombardia,seguita a breve da quella della Regione Toscana, impone l’uso delle mascherine nella frequentazione di luoghi pubblici.

Un ulteriore  problema pere quanto concerne l’Italia è che le normative di importazione disciplinate da due consecutivi DPMC e dalle recenti circolari della Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – in particolare l’ultima ordinanza del Commissario Straordinario, la n. 6 del 28 marzo talvolta non si raccordano con quanto emanato recentemente (1 aprile 2020)  dal Ministero del commercio (Mofcom) cinese di concerto con  l'amministrazione della dogane, la General Administration Custom(Gac).

Sul fronte italiano, come ben specificato dall’Ordinanza citata, dobbiamo distinguere tra i soggetti riceventi le DPI : per l’uso medicale  Regioni ed Enti Locali, strutture di Pubblica Amministrazione, strutture pubbliche ospedialiere per le quali è in vigore la procedura di sdoganamento diretto o celere.

Esiste poi la categoria di strutture sanitarie private, le aziende in quanto beneficiarie di DPI e i normali importatori di materiale sanitario.

Questa classificazione implica ovviamente la distinzione tra uso medicale e utilizzo civile. Per l’uso medicale vale quanto oggi disciplinato dal Mofcom, per l’uso civile il requisito concerne l’autorizzazione CE con relativa marcatura sulla singola mascherina o sulla scatola se sono confezioni in blocco. In questo caso vi può essere il rischio della requisizione da parte della Dogana Italiana ai sensi delle recenti leggi.

Sul fronte cinese, la normativa Mofcom prevede che i DPI ad uso medicale siano soggetti ai seguenti requisiti per permetterne l’esportazione:

-  I produttori devono rientrare nella white list emessa in allegato al provvedimento che si compone di 23 aziende qualificate sul territorio cinese e con l’autorizzazione in primo luogo a commercializzare il prodotto in Cina,

- dichiarazione di assunzione di responsabilità da parte di chi spedisce,

-  certificato di registrazione rilasciato dal produttore.

Questo decisione ha creato una caos logistico: molta della merce che aveva già ottenuto nei giorni precedenti l’autorizzazione a spedire da parte della dogana cinese ma era in attesa di partenza  per le difficoltà ad imbarcare a causa della scarsità di voli, è stata richiamata.

Altra merce che era in deposito presso magazzini terzi o fornitori è stata rigettata anche se già pagata con future dispute per l’eventuale rimborso.

Due charters, giovedi scorso, in partenza da Shanghai, sono rientrati all’estero vuoti in quanto tutta la merce prenotata non proveniva da aziende qualificate nella white list.

La domanda di mascherine KN 95 equivalenti alla categoria FFP2, sta crescendo sempre di più ma la criticità dei trasporti non agevola di certo il soddisfacimento di queste necessità sanitarie.

Un caso analogo riguarda i kit per i test rapidi Covid 19: alcune aziente produttrici di questo innovativo sistema avevano ottenuto l’autorizzazione per commercializzarlo in Europa ed in America, ma non sul territorio cinese. Putroppo il loro lavoro sia di innovazione che di investimento per il momento è stato vanificato.

Il governo cinese ha due obiettivi che stanno alla base di questa decisione: il primo che attiene ad evitare commenti all’estero in merito alla qualità del prodotto come nelle scorse settimane è avvenuto;il secondo a un controllo delle quindicimila aziende oggi coivolte in questo segmento di produzione ma che potrebbero non avere  richiesta se l’attività di contrasto all’epidemia dovesse portare, come tutti speriamo, ad una riduzione del fenomeno.

* managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni



 

 

 

 

 


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