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Politica

Charter cinesi in Usa ed Europa, non sono turisti ma imprenditori

Sono partite delegazioni da Jiaxing, Ningbo, Suzhou e altre se ne stanno preparando di rappresentanti di imprese che vanno a trovare clienti o ex clienti per rivitalizzare gli scambi interrotti tra quasi tre anni di autoisolamento. Ma intanto altri paesi ne hanno approfittato


27/12/2022 12:31

di Marco Leporati*

settimanale

Il segnale era stato lanciato qualche settimana fa quando si erano aperti i varchi della mobilità: prima nel corso di un telegiornale nazionale in prima serata poi sulla stampa si comunicava che una prima delegazione di imprenditori cinesi della provincia dello Zheijiang avrebbe iniziato una missione all’estero di una settimana tra Germania e Francia per ripristinare le relazioni commerciali con vecchi e potenziali clienti dopo tre anni di autoisolamento.

Questo primo viaggio rappresentava l’inizio di un piano di azione da estendere ad altre delegazioni (un migliaio) rappresentanti diecimila società delle province con alto livello di export e dovrebbe portare «a explorare il mercato internazionale», ovvero per ricucire una sfilacciata supply-chain rovinatasi soprattutto nel corso del 2022. 

L'intenzione di gettare un’ancora di salvataggio dell’export da parte di Pechino deve però fare i conti con un raffreddamento della predisposizione mentale dei Paesi stranieri rispetto a quanto sta accadendo in Cina anche in questi giorni.

Il sindaco di Jiaxing, una delle aree più importanti ad alta concentrazione di imprese tessili e meccaniche, nel riconoscere che la sua città ha perso ordini e deve ricostituire l’immagine a causa del Covid 19, ha sostenuto che «quest’ultima iniziativa è volta a riconquistare ordini perduti ma, la cosa più importante è di creare la fiducia non solo tra le imprese cinesi ma anche con quelle imprese internazionali che in precedenza hanno collaborato con noi».

Anche la città di Ningbo, altro centro manifatturiero di importanza storica ha inviato una sua delegazione negli Emirati arabi con analoghe finalità. E la città di Suzhou ha organizzato un charter con destinazione Francia e Germania per visitare quindici imprese nella Fortune Global 500 dopo tre anni di silenzio considerando la qualificata presenza (anche italiana) di imprese straniere.

Sorvolando sul fatto che la scelta del periodo, a cavallo tra la celebrazione del Natale e del Capodanno non sia propriamente l'ideale per organizzare incontri nelle Americhe ed in Europa, è evidente che questi charter hanno una sola finalità: convincere i compratori a tornare.

Ma quanto sta accadendo ha assunto la connotazione di una diversa logica della nostra “Ars mercatorum”. Gli imprenditori cinesi frequentavano fiere europee e americane più nella veste di compratori. Oggi invece vanno per procacciare clienti: a memoria non si era mai vista un'azione simile ad eccezione delle delegazioni ufficiali accanto a visite governative istituzionali.

Il risultato non è affatto scontato. È vero che che le quarantene in ingresso sono ridotte e dal 9 gennaio prossimo scompariranno, però la diffusione endemica del virus sta raggiungendo livelli esponenziali e nessuno dall’estero si avventurerebbe in città deserte quale Shanghai, in questi giorni con un livello di protezione individuale inesistente.

Tuttavia un segnale arriva dal mercato azioniario che ha avuto in questi due giorni dei guizzi di vitalità mentre le compagnie aree cinese hanno ricevuto gli ordini di ripristinare i viaggi all’estero per i turisti.

Vi è anche un altro dettaglio da non trascurare: in un momento dove il mercato globale langue a causa di una domanda debole ogni Stato cerca di trarre maggior beneficio dalle criticità di altri mercati. Tra questi l’India, il Bangladesh per l’abbigliamento, i Paesi dell’Asean di cui la Cina fa parte anche con il RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership) tutti con il forte desiderio di affrancarsi da uno status di vassallaggio.

È il Grande gioco geopolitico: il declino della Cina nell’export è stato bilanciato in positivo proprio dai Paesi Asean. Ciò è dovuto al fatto che i clienti stranieri che devono fare i conti con la domanda debole, sono maggiormente attenti a una stabilità della supply chain soprattutto per i tempi di consegna. Gli imprenditori cinesi si stanno rendendo conto che più aumenta l’incertezza in Cina, più i clienti stranieri saranno alla ricerca di alternative nel Sud Est Asiatico.

In questa sindrome da supply chain le più penalizzate sono le pmi che subiscono i costi per i ritardi, le difficoltà a ottenere dalle autorità locali il passaporto per le procedure di visti esteri ed i costi per i viaggi.

«La Cina dovrebbe incoraggiare le sue imprese a riorganizzarsi in una task force in modo da interconnettersi con il mondo esterno e con i Paesi che guardano come ricostituire i modelli produttivi e di supply chain come contrasto alla turbolenza dei prossimi mesi», ha sostenuto Zhuo Xian, senior fellow del Development Research Centre dello State Council of China Cabinet. Compito non facile ma nemmeno impossibile. (riproduzione riservata)

*presidente di Savino del Bene Shanghai Co. Vive e lavora a Shanghai da oltre 25 anni


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