Le celebrazioni della ricorrenza dei 110 anni dalla Rivoluzione cinese del 1911 a opera del fondatore della prima Repubblica, Sun Yat-sen, denominata Xinhai (ramo del gambo), hanno trovato un ideale terreno di coltura nel nazionalismo spinto e soprattutto emergente tra la Generazione Z, quella post millennial.
L'accostamento non è improprio e, anzi, trova nuova evidenza in un fenomeno recente. Da mesi, infatti, la predisposizione all’acquisto da parte dei millennials ha preso una direzione marcatamente localistica: molti brand cinesi, nati con lo spirito e l’intento di dimostrare che la genialità creativa era presente nei giovani stilisti cinesi e non solo in quelli occidentali, ha allargato il campo sino a diventare una rappresentazione di una nuova visione del lifestyle basato sia sui modelli sia sulla componente prezzo.
Questo fenomeno, "Guochao" traducibile in "Onda nazionale", la sua fama e il suo successo è misurabile con i risultati delle vendite di alcuni brand cinesi che traggono spunto da elementi della cultura cinese orientati alla ricerca delle proprie radici.
Si ritorna così al concetto di prosperità condivisa che dovrebbe essere il leitmotiv per il prossimo futuro. Guochao ha anche risvolti di costume e culturali, come indica il successo al box office del film The Battle at Lake Changjin che ricorda le imprese di un manipolo di soldati cinesi (Chinese People Volunteers) impegnati nella guerra di Corea quale supporto contro le truppe americane, e amplifica lo stato emotivo imperante. Il film è stato coprodotto dalla società statale Bayi Film Studio in occasione dei cento anni dalla fondazione del Partito comunista cinese e si avvale anche della regia di Chen Kaige, regista pluripremiato alla Biennale di Venezia.
Qualcuno è corso ai ripari: Prada, dopo la sfilata shanghainese in contemporanea con quella milanese durante la recente Fashion Week italiana, si è tuffata con un’uscita trompe-l’oeil in un wet market (mercato del fresco) nel centro di Shanghai per proporre a circa duecento millennials ma anche ai tradizionali clienti, per la verità un po' sorpresi, un momento ecofrendly, con la distribuzione di carta per avvolgere le melenzane e la carne fresca con i colori viola e giallo e lo slogan “Feels like Prada”. Il messaggio divulgato era che la moda non è solo per le classi agiate ma per tutti, addirittura introiettandola come “parte della propria vita” e rientrando così nella canonica formula della prosperità condivisa. Campagna durata una settimana anche in altre località.
Altri brands occidentali quali Dior o Balenciaga stanno tentando la commistione con una cross cultural action. Tutto ciò non può essere considerato il mantra preminente in quanto non si hanno statistiche che ne avvalorino l’assolutezza ma, come al solito, rappresenta un segnale di cui tenere conto, da aggiungere a tutti gli altri ormai acclarati, per comprendere quali saranno per il prossimo anno i percorsi che caratterizzeranno la visione della Cina in rapporto con il mondo esterno.
Un altro esempio significativo viene dal mercato dello sportswear in particolare della calzatura e dell’abbigliamento sportivo. Fino a qualche anno fa avevamo la predominanza di tre marchi stranieri: Adidas, Nike e Puma. Tra i marchi cinesi stava emergendo Li Ning nel nome della famosa olimpionica ex ginnasta che aveva creato un suo brand. Oggi, a parte Li Ning che ha la maggior quota di mercato ed è cresciuta nel primo semestre di questo anno del 187% nel profitto netto, sono emersi o si sono sviluppati altri brand quali Anta, Peak, 361°, XTEP, Erke e Qiao Dan.
La testimonianza di una giovane laureata cinese (Generazione Z) ci aiuta a capire: “La popolarità di Li Ning nei recenti anni è cresciuta sulla variabile prezzo, abbordabile per chiunque e sulla trasmissione dei like sui social media. I top luxury brand sono ancora leaders nel mondo del fashion. Tuttavia per i brands medi di fast fashion, è vero che la lealtà del consumatore si è facilmente erosa a favore di quelli cinesi specialmente quando contribuiscono i fattori patriottici”.
È pur vero che, in contraddittorio, si potrebbe sostenere che marchi cinesi hanno riscosso successo all’estero quali Huawei nella telefonia ma in questo caso è una marea che avanza, carica di brands al servizio della clientela cinese. Se poi avranno successo anche all’estero dovremo leggerlo come conquista commerciale come accade per tutti i prodotti che valicano i confini transnazionali.
Attualmente in Cina non esiste il semplice concetto di marketing che trova fondamento nello sviluppo di un nuovo prodotto e della sua pubblicizzazione; assistiamo invece ad una tendenza permeata più o meno profondamente da una filosofia di vita e politica, che si riscontra anche in alcuni architetti cinesi alla ricerca di uno stile non contagiato dai concetti urbanistici architettonici occidentali.
Questo elemento coesivo fa sì che la conoscenza si diffonda velocemente e crei il consenso necessario per irrobustirsi. L’Occidente non può fare a meno della Cina anche se ogni giorno è un susseguirsi di punti di vista, alcuni anche oggettivamente corretti sulle criticità o debolezze cinesi.
Nel valutare il Guochao è importante tenere conto che la forbice nella popolazione che si creerà nel 2030, secondo una tabella prospettica relativa alla forza lavoro, sarà quasi tutta a favore della generazione Z perché con le regole attuali per il pensionamento molti dei cinquantenni di oggi lasceranno il lavoro, e il loro potere di spesa non sarà più quello attuale considerando le rendite pensionistiche.
Ed è proprio questa categoria, che le tabelle definiscono senior, la protagonista che condizionerà le scelte di acquisto nei prossimi dieci anni. (riproduzione riservata)
*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni