«È la somma che fa il totale», affermava Totò in un suo esilarante film “Totò, Fabrizi ed i giovani d’oggi”. Mutuando la battuta, a proposito di Covid a Shanghai si conferma che il totale non torna.
Dopo più di una settimana di chiusure a macchia di leopardo o meglio a Xianqi, l’antica scacchiera cinese, e con milioni di test, la media giornaliera dei casi (prevalentemente asintomatici) cresce, e ieri si è raggiunta la punta di 758 di cui 734 asintomatici e 24 positivi. Il grafico giornaliero indica che il Coronavirus è in posizione di attacco tanto da obbligare persino la chiusura di Shanghai Disney Resort fino a nuova data.
La nuova procedura atta ad isolare i casi confermati con l’ospitalizzazione obbliga d’altro canto a ricorrere forzatamente al mass testing che offrirà nei prossimi giorni una panoramica quasi completa dello status sanitario dei 26 milioni di residenti a Shanghai.
In aggiunta vanno segnalate città quali Changchun, Pechino e Shenzhen dove l’insorgenza sta ampliandosi mentre Jilin, altrà città nel Nord est della Cina, è al centro dell’attenzione avendo avuto i primi due decessi dai tempi di Wuhan.
Oggi riprendono le attività, quelle non soggette a lockdown, e sarà interessante vedere nel corso della settimana il trend di business che influenzerà quest’ultima settimana di marzo.
Sgombrata, almeno per il momento, la questione di mediazione nel conflitto russo-ucraino, Pechino avrà il compito di concentrarsi sul controllo dell’epidemia considerando due fattori importanti: il costo di questa operazione sanitaria e la probabile riduzione della produzione con colli di bottiglia nelle esportazioni di manufatti ma anche nel soddisfacimento della catena del valore. Ciò potrebbe generare un abbassamento della stima prevista della crescita del pil (5.5%) per l’anno in corso.
Un esempio che in questa circostanza è emblematico è quanto sta avvenendo nell’area della città di Thangshan nella provicia dell’Hebei, non distante da Pechino, con circa otto milioni di abitanti e considerata il più grande centro siderurgico della Cina. Da qualche giorno il traffico è stato consentito solo ai mezzi di emergenza, i controlli di massa si sono intensificati e le società produttrici di acciaio sono state costrette a sospendere la produzione a causa della mancanza di personale, obbligato a stare a casa in isolamento: si parlava di sette casi positivi.
«La prevenzione ed il controllo della pandemia è la priorità nazionale. Persistenza è vittoria», ha ribadito Mi Feng, portavoce ufficiale della National Health Commission. Questa affermazione potrebbe trovare riscontro nei risultati preliminari delle previsioni del Global Forecast System dell’Università cinese di Lanzhou che mostrano come, in base alle misure di controllo adottate dal Governo, l’attuale ciclo dell’epidemia dovrebbe essere sotto controllo all’inizio del prossimo mese di aprile mentre solo in queste giornate di marzo i casi riscontrati (asintomatici e non) sono stati 37.000.
Nonostante il Governo centrale abbia messo a disposizione cospicui fondi dedicati ad aiutare i governi locali in questa battaglia, il contatore delle spese gira vorticosamente e la città di Suzhou, uno dei poli industriali più importanti, non distante da Shanghai e con una forte presenza di imprese italiane, solo dall’inizio delle prime avvisaglie del 13 febbraio scorso ha già speso circa 18 milioni di dollari per dotarsi di equipaggiamenti protettivi, infrastrutture mobili e soprattutto azioni concernenti i test che sono ovviamente le più complesse avendo messo sotto pressione ospedali ed altre analoghe strutture sanitarie per lo sviluppo dei risultati giornalieri. Anche perchè, a distanza da una settimana, il RAT (Rapid antigen test) non ha ancora acquistato validità giuridica.
Va anche annotato che nella scala gerarchica delle responabilità sono state adottate molte azioni punitive e questo fatto sta creando panico tra il personale coinvolto che, con il timore di vedersi comminato qualche provvedimento che lede la sua professione o la sua sfera privata, si comporta in maniera più restrittiva.
A questo punto dobbiamo però ripercorrere la strada iniziata a Wuhan il 23 gennaio 2020 per comprendere le sostanziali differenze nell’ambito del Paese Cina e dello scenario mondiale anch’esso in evoluzione.
Dopo lo scoppio della pandemia a Wuhan, la Cina, anche complice il periodo del Capodanno in coincidenza con il triste evento, era riuscita a creare un diaframma tra quella città simbolo ed il resto del Paese. Infatti, sebbene la fermata del Capodanno fosse stata prolungata, gradualmente in marzo le attività avevano già ripreso tant’è che, per la legge del contrappasso, mentre in Italia, Europa e Stati Uniti il Covid avanzava, si erano creati corridoi sanitari di charter che giornalmente trasportavano strumentazione sanitaria e le ben note “mascherine“ in giro per il mondo.
A distanza di due anni, nel mondo occidentale si sta ritornando a fatica e con tante contraddizioni in termine ad una normalità, la Cina invece è stata sottoposta ad uno sciame virale che ha lambito sia le principali città che alcune province agricole.
L’asimmetria è evidente: allora la produzione era stata ripristinata in funzione di una domanda che lentamente si faceva luce da parte dell’Occidente, bilanciata poi dalla teoria governativa della Dual circulation ovvero potenziamento della produzione correlata ad un maggior consumo interno affiancata alle esportazioni che sono state poi il volano preponderante del 2021. Oggi invece il virus sta penetrando insidiosamente nella Cina ed è per questa ragione che le autorità vogliono recidere i gangli vitali della pandemia consapevoli dei pericoli economici che si affacciano in questa fredda primavera. (riproduzione riservata)
*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni