Alla notizia del rallentamento cinese Donald Trump ha esultato: «I dazi degli Stati Uniti stanno spingendo molte società a spostare la loro produzione dalla Cina a Stati non soggetti a tariffe». Un esame più approfondito della dinamica di crescita cinese dovrebbe però consigliare maggior prudenza: la Cina ha le risorse per resistere a una lunga guerra commerciale meglio di altri Paesi, forse anche degli stessi Stati Uniti. Secondo una ricerca del McKinsey Global Institute, infatti, Pechino ha meno bisogno del mondo di quanto il mondo abbia bisogno di Pechino. Fra 2000 e 2017 è aumentata la dipendenza globale da commercio, tecnologia e capitali cinesi. Al contrario, l’esposizione della Cina al resto del mondo è diminuita. Per compensare il calo dell’export dovuto alle tensioni commerciali Pechino può infatti contare sul mercato domestico. In 11 degli ultimi 16 trimestri dal 2015, nota McKinsey, i consumi interni hanno contribuito per oltre il 60% alla crescita del pil cinese.
Nel 2017 e 2018 l’incidenza del mercato domestico sull’aumento del pil è salita addirittura al 76%, mentre il commercio ha dato un contributo negativo. In altri termini, import ed export non sono più così vitali - tranne che per le tecnologie più avanzate - per Pechino, che in certa misura può permettersi un periodo di autarchia. Viceversa, per alcuni Stati le relazioni commerciali con la Cina e i suoi capitali sono diventate indispensabili. Ciò è vero per molte economie asiatiche (che dipendono da Pechino per quasi il 20% dei consumi interni, per Paesi come Australia, Cile e Sudafrica (che dall’import cinese traggono circa un quinto del pil) e per Egitto e Pakistan (dove gli investimenti cinesi sono rispettivamente il 13 e l’8% del totale).
L’esposizione di Usa ed Europa alla Cina è invece inferiore sicché un’eventuale autarchia del Dragone sarebbe un danno soprattutto in termini di minori opportunità di crescita. (riproduzione riservata)