A Shanghai in questi giorni sono esposti i capolavori di William Turner, paesaggista romantico inglese: uno dei suoi quadri “Barca di pescatori tra le onde tempestose” esplicita in maniera significativa e di presagio l’attualità della sfida tra Usa e Cina, che dalla terra si sta spostando sul mare.
A causa della guerra commerciale in atto, le incertezze nel mondo dei trasporti marittimi divampano: le compagnie stanno cancellando le partenze settimanali delle navi (black sailing) in partenza dalla Cina verso gli Stati Uniti e l'Europa. In aprile vi sono state 80 cancellazioni di partenze che hanno sorpassato le 51 cancellazioni durante il maggio 2020, apoteosi del Covid fuori dalla Cina.
Le prenotazioni dall’Asia verso i porti americani per la settimana 18 (la prossima, dal 28 al 4 maggio) hanno riscontrato in media 28% in meno di quanto preventivato di cui 30%-60% riferito all’export cinese e il 10%-20% riferito all’export asiatico. Per la settimana 19 (inizio maggio) le stime sono intorno ad una diminuzione del 42%. Riducendosi la capacità di stiva si potranno preveder aumenti dei noli.
Per queto, le compagnie marittime e gli armatori cinesi stanno cercando alternative, come era accaduto al momento dell’incipiente rischio del canale di Suez due anni orsono con il ridisegnare le rotte circumnavigando il Capo di Buona Speranza.
Una è quella di utilizzare porti nell’area caraibica in quanto una delle norme prevede l’esenzione di costi addizionali qualora la distanza di attracco ad un porto americano sia inferiore alle 2,000 miglia nautiche o vengano utilizzate navi con una capacità inferiore a 4.000 teus. Ciò comporta un ridimensionamento dei traffici considerando le recenti navi portacontainers da oltre 10.000 teus. Altra incognita le dimensioni dei porti caraibici limitate in banchine e strutture logistiche.
Un’altra strada è l’utilizzo del nuovo terminal cinese nel porto peruviano Chancay, inaugurato nel novembre scorso. In questo caso, sebbene la percorrenza tra Cina e Peru sia solo di 23 giorni, il problema è il trasporto verso gli Stati Uniti in termini di infrastrutture e magazzini di stoccaggio.
E c'è un ulteriore pericolo che agita le acque degli assetti globali del trasporto merci. Trump ha, infatti, delegato, attraverso uno dei suoi ordini esecutivi, una delle agenzie del governo federale americano, a predisporre un piano per incassare a partire dal 14 ottobre gabelle a carico operatori navali e armatori cinesi.
Nel piano iniziale si prevedeva anche l’estensione ai costruttori navali del Dragone che sono poi stati esonerati in quanto i grandi players internazionali hanno in cantiere ordinativi alle imprese cinesi e di conseguenza ne sarebbero stati penalizzati. Questa esenzione dovrebbe coprire il 60 % degli ordini in fase di evasione.
Da quella data armatori ed operatori non cinesi anche se in possesso di flotte costruite in Cina saranno soggetti al momento dello sbarco nel primo porto di entrata americano al pagamento di 18 dollari a tonnellata netta di merce con un incremento fissato all’aprile 2028 di 33 dollari a tons, mentre per il singolo container l’addebito sarà di 120 dollari all’inizio per arrivare a 250 dollari.
Costi maggiori per armatori ed operatori navali cinesi: si parte da ottobre con 50 dollari per tons con incremento a scalare sino a 140 mentre per singolo container da 120 dollari per arrivare a 250 nell’aprile del 2028.
Le navi RORO ovvero quelle utilizzate per il trasporto di vetture avranno un costo di 150 dollari per vettura. Questi extracosti potranno essere addebitati per un massimo di sei viaggi ogni anno, con l’esenzione delle navi appartenenti a compagnie americane.
Le due maggiori compagnie cinesi OOCL e Cosco si sono lamentate in quanto, come sostiene Lars Jensen di Vespucci Maritime, saranno penalizzate più delle altre; in particolare Cosco ha stimato che per una nave portacontainer di 60.000 tonnellate nette con 13.000 containers dovrà sostenere un costo aggiuntivo di un milione di dollari per attracco per giungere all’aprile del 2028 a dieci milioni di dollari.
Per completare il quadro, la stessa agenzia americana sta articolando una imposizione aggiuntiva per quanto concerne le strutture portuali che abbiano relazioni con società cinesi, in particolare, gru di banchina, impianti logistici e magazzini giustificando un elevato grado di inefficienza ma dimenticando che le rivendicazioni dei portuali del recente passato non erano relative alle strutture ma al rinnovo dei contratti di lavoro.
È evidente l'intenzione del governo americano di cercare di penalizzare l'industria cantieristica cinese che ha acquisito un primato globale con ordini per il 70% delle nuove navi mentre la Corea del Sud è al 17% e il Giappone al 5% (fonte Clarkson). Nel campo della cantieristica navale gli Usa rappresentano solo lo 0,1% sul totale mondiale.
Tutto è possibile in futuro ma la costruzione di navi, oltre i cantieri racchiudono competenze e specializzazioni che non possono essere improvvisate solo per soddisfare il ritorno alla grande e presunta egemonia americana della seconda metà del novecento mentre l’Europa era in fase di ricostruzione e l’Oriente un qualcosa di ignoto. (riproduzione riservata)
* corrispondente da Shanghai, dove vive e lavora da 30 anni