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Politica

Gli expat disamorati dalla Cina, molti vogliono rimpatriare

Un sondaggio della società Bon App in collaborazione con Tencent ha suonato l'allarme: il 70% di professionisti, tecnici e manager intervistati è intenzionato a lasciare il Paese entro l'anno prossimo. Da Hong Kong sono già partiti oltre 60 mila expat, il 10% delle colonia straniera


19/04/2022 15:21

di Marco Leporati*

settimanale

Nel decennio precedente la Cina ha rappresentato quello che negli Anni venti del secolo scorso avevano rappresentato l’America e la California durante “l’età del jazz”: una terra dove vi era posto per tutti, dai manager ai professionisti, dagli studenti ai cercatori di fortuna in un ambiente glitterato derivato da una continua crescita dell'economia.

Quel decennio era stato inaugurato dall’EXPO di Shanghai con una contestuale e radicale trasformazione della città.

Gli stranieri arrivavano a frotte, soli per poi ammogliarsi o con famiglia, con prevalenza nelle grandi aree di sviluppo del Guangdong, a Suzhou, a pochi passi da Shanghai, passando per i distretti produttivi dello Zheijiang e dello Shandong, perfino nelle località più remote dove alcune multinazionali avevano costruito per una qualche ragione la propria unità produttiva.

In questa Samarcanda, liaison tra Oriente e Occidente, gli expat trovavano soddisfazioni professionali ed una qualità della vita diversa ma attrattiva.

Da due anni a questa parte con la presenza quotidiana della pandemia questo equilibrio è venuto meno: in primo luogo coloro i quali erano partiti dalla Cina per motivi di lavoro o di vacanza hanno incominciato a scontrarsi con le difficoltà burocratiche del rientro in questo Paese; voli ridotti, quarantene, certificazioni che invalidavano i visti in possesso.

Successivamente vi sono state le avvisaglie per la rigida concessione dei nuovi visti, la gestione delle scuole internazionali fino ad arrivare ad una situazione dove languiscono le opportunità e si fa, invece, concreta la possibilità di rimanere intrappolati nel lockdown di una delle 83 città tra le cento più importanti della Cina.

La previsione fatta dal Presidente della Camera di Commercio Europea è che nel prossimo futuro rimarranno in Cina solamente 80 mila europei, pari alla capienza del Bird’s Nest, lo stadio olimpico di Pechino.

Prima della pandemia si registravano circa ottocentomila stranieri in possesso di visto di lavoro e/o di residenza oltre ad altrettante persone che richiedevano soprattutto ad Hong Kong un business visa e a quel tempo la durata accordata era da tre mesi a un anno.

In questo periodo non sono stati più concessi business visa e circa 800 mila persone non sono più presenti in Cina. Dei regolari alla fine dello scorso anno il numero si era già ridotto del 40%.

In particolare gli espatriati italiani, iscritti AIRE, alla fine del 2020 erano 10.779 inclusi i residenti di Hong Kong con la maggiore presenza a Shanghai pari a circa 4.000 unità, oltre a 3.000 connazionali non iscritti.

Analizzare le ragioni di questo esodo non è semplice in quanto vengono alla luce fattori motivazionali soggettivi e oggettivi concernenti l’ambiente in cui si vive ma il trend prospettato dal Presidente della Camera ha sicuramente un che di realistico.

Partendo dalle ragioni oggettive, aprendo un campo largo sulla comunità italiana, la cancellazione nella primavera del 2020 di tutti i collegamenti diretti con l’Italia lasciando solo il monopolio di Neos con lo scalo di Nanchino e poi con la sua chiusura, quello di Tianjin, ha creato situazioni tariffarie fuori mercato, avendo affidato la completa gestione delle prenotazioni a Ctrip, con l’eccezione dei pochi posti messi a disposizione della Camera di Commercio Italiana.

Solo quando Neos era stata costretta a sospendere per qualche settimana il servizio a causa di positivi riscontrati sul proprio volo, vi era la possibilità di utilizzare gli scali europei che, invece, con un volo a settimana sono rimasti attivi.

Ad aggravare queste difficoltà di viaggio persiste un sistema farraginoso in Italia dei test richiesti dall’autorità cinese per il rientro: non sempre i centri disponibili nell’elenco fornito dall’Ambasciata cinese possono soddisfare i requisiti prescritti e quindi venivano a mancare le condizioni per poter partire con l’unico volo settimanale in programma. I charter organizzati dalle autorità italiane hanno lenito in parte le carenze accumulate.

Al di là dei problemi logistici si sta riscontrando una diminuzione significativa dell’appeal a rimanere in Cina: se Hong Kong è stata l’apripista, successivamente nei primi due mesi dell’anno hanno lasciato la città oltre 60.000 expat pari ad oltre un decimo di tutta la popolazione straniera (660.000 al dicembre 2021).

Un recente poll, effettuato durante il lockdown a Shanghai dalla società Bon App in collaborazione con Tencent su un campione di 1.100 intervistati, numero non molto significativo ma da intendersi come un segnale di allarme, ha mostrato quale sia il sentiment in questo momento particolarmente complesso della vita in Cina. Nella platea degli intervistati il 72% ha un rapporto di lavoro dipendente ed il 20% un’attività in proprio, il primo dato riguarda l’intenzione di lasciare il Paese entro il 2023: il 40% degli intervistati ha risposto che intende lasciare la Cina entro la fine di questo anno; il 30% di lasciarla entro il 2023 o di considerare questa possibilità; un altro 30% dovrebbe rimanere in Cina.

Infine per quanto riguarda la provenienza, il 38% è rappresentato da europei, 29% nordamericani, il 5% sudamericani e il 10% orientali. Il combinare questi dati insieme all’età e allo stato civile mette in conto una situazione motivazionale che spinge le persone a ricercare altre soluzioni di vita.

Questa diaspora avrà conseguenze nella ricerca di talenti stranieri che, salvo eccezioni, non avranno come obiettivo, almeno a breve, di trasferirsi in Cina per ragioni di lavoro.

Quale sarà una possibile soluzione? Impiegare personale cinese che ha frequentato atenei prestigiosi all’estero? È noto che le università americane e inglesi contavano su migliaia di iscritti provenienti dalla Mainland China e, quando è scoppiata la pandemia e non è stato più possibile viaggiare, le iscrizioni sono fortemente calate con pesanti ripercussioni economiche sui bilanci delle stesse università.

Si aprono nuovi orizzonti per il futuro degli espatriati come avvenne nei secoli passati nel continuo confronto tra i diversi mondi. Certamente non accadranno più storie come quella di Giuseppina Croci, una donna che, a ventisette anni da sola, arrivò a Shanghai dalla provincia di Milano nel 1890 dopo 37 giorni di navigazione su di un bastimento battente bandiera tedesca. Il suo datore di lavoro le aveva chiesto di lavorare in Cina in una filanda. Lei accettò, ne scrisse un bellissimo diario pervaso dal pensiero che era “Meglio un viaggio verso l’ignoto che un destino già segnato”. (riproduzione riservata)

*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni


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