Il 28 marzo 2020 è stato chiuso il confine cinese per la maggior parte dei residenti stranieri. Da allora, l’allentamento di tale restrizione è stato inconsistente. L’annuncio, a settembre 2020, che i cittadini stranieri con valido permesso di soggiorno sarebbero potuti tornare nel Paese senza lettera d’invito non è durato che un mese, a seguito del quale Pechino ha stabilito che i viaggiatori in arrivo avrebbero necessitato di un risultato negativo al tampone molecolare Covid-19 prelevato entro 48 ore dalla partenza del volo diretto in Cina. Tale ordinanza ha essenzialmente impedito il ritorno in Cina a tutti i cittadini i cui Paesi di origine non potevano effettuare l’esame diagnostico nelle tempistiche consentite. Inoltre, a novembre, l’ingresso in Cina dei cittadini del Regno Unito, Francia, Belgio e Italia, è stato vietato interamente, anche qualora essi fossero in possesso di tutte le documentazioni richieste dalle autorità cinesi.
Molti stranieri rimangono bloccati fuori dal Paese, una situazione che perdura già da un anno. Spesso viene loro negato il codice sanitario verde attualmente richiesto dalle autorità cinesi per effettuare l’imbarco, senza alcuna motivazione fornita dai consolati o dalle ambasciate locali. Oltre a rendere difficile il rientro dei cittadini stranieri già impiegati in Cina, i regolamenti impediscono anche alle aziende straniere di portare nuovi dipendenti in Cina. Il talento straniero altamente qualificato è vitale per le imprese internazionali, e il fatto che queste restrizioni vengano messe in atto proprio mentre la Cina spinge sullo sviluppo di tecnologia e innovazione è ragione di considerevole frustrazione per le aziende europee, le quali possiedono non soltanto le soluzioni commerciali da offrire in tale ambito, ma anche il talento necessario per metterle in atto. L’introduzione dei programmi di vaccinazione e di un possibile sistema di «passaporto vaccinale» portano una rinnovata speranza per la ripresa dei viaggi transfrontalieri.
Tuttavia, ai residenti stranieri in Cina si presenta una realtà mista: mentre alcune imprese membri della Camera di commercio europea riportano che ai loro dipendenti stranieri è stato somministrato il vaccino anti-Covid insieme ai colleghi locali, altri riferiscono che i dipendenti stranieri avrebbero soltanto potuto averne accesso solo in futuro. Le restrizioni legate alla pandemia vanno ad aggiungersi a politiche interne che minacciano sia il flusso di talenti stranieri in Cina, sia le condizioni per vivere nel Paese.
Il sistema fiscale cinese, per esempio, è considerevolmente meno competitivo rispetto ad altre destinazioni di investimento. Si pensi che la fascia di reddito più alta è tassata al 45% nella Cina continentale, contro il 17% di Hong Kong e il 22% di Singapore. Il sistema dell’imposta sul reddito individuale prevede attualmente una detrazione fiscale per determinate indennità (tra cui l’affitto per l’alloggio, la trasferta e il costo delle scuole internazionali per i figli dei dipendenti stranieri) che contribuisce ad attrarre talenti stranieri. Tale agevolazione fiscale e benefici esentasse forniti dalle imprese compensano l’elevato costo di vita che gli impiegati stranieri con famiglia in Cina devono fronteggiare e che inciderebbe altrimenti sul bilancio. Includere le rette scolastiche internazionali in questa categoria è estremamente importante, poiché i costi d’istruzione in Cina sono tra i più elevati al mondo.
Inoltre, non vi è attualmente un’alternativa più economica, poiché le scuole locali non ammettono studenti con passaporti stranieri e non offrono programmi accreditati a livello internazionale che consentano ai bambini stranieri di essere riammessi in sistemi scolastici europei senza rimanere indietro. Pertanto, affinché i talenti europei, specialmente quelli con famiglia a carico, considerino incarichi in Cina, è spesso un prerequisito che i datori di lavoro offrano un pacchetto salariale che copra le rette scolastiche.
Nell’ambito della riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche annunciata nel 2018, tali indennità diventeranno interamente tassabili a partire dal 1° gennaio 2022. L’impatto di questo cambiamento sarà significativo poiché i datori di lavoro dovranno sostenere un onere fiscale elevatissimo, il quale rischia di dissuaderli dall’offrire incarichi in Cina a talenti d’oltremare. In un sondaggio presso le imprese della Camera europea, la maggior parte dei datori di lavoro intervistati ha dichiarato di voler tagliare un ulteriore 25% o più del proprio personale dipendente straniero a seguito della cancellazione delle detrazioni fiscali. Più scioccante ancora, ben il 42% degli intervistati ha affermato che tale cancellazione comporterebbe uno spostamento degli investimenti futuri fuori dal Paese. Pizzicati tra restrizioni di movimento e politiche interne, i leader aziendali europei si sentono sempre meno accolti nel mercato cinese. Sembrerebbe persino che i pianificatori di Stato cinesi vogliano i nostri investimenti, la nostra tecnologia e i nostri marchi, ma non noi. (riproduzione riservata)
*vicepresidente nazionale e presidente della sezione di Shanghai della Camera di commercio europea in Cina