Fra una decina di giorni si terrà la conferenza annuale organizzata dal Partito Comunista cinese dalla quale dovrebbero declinare le linee guida economiche per il prossimo anno. “La Cina dovrebbe fissare l’obiettivo del Pil oltre il 5% in modo da assicurare un’espansione nella media del 5% rispetto al biennio 2022-2023,” ha dichiarato Liu Shijin, advisor della Banca Centrale cinese e Former Deputy Director del Development Research Center del Consiglio di Stato. Una crescita inferiore potrebbe mettere a repentaglio la produttività in generale ed intaccare l’abilità del Paese al cambiamento del modello di sviluppo.
Il punto sta nel come conciliare una stima di crescita per il prossimo anno del 5,5% quando questo anno si chiuderà presumibilmente al 3,2%, recuperando spazio e occasioni perse nel 2022. Non è semplice ma se i conti devono tornare occorre iniettare fiducia nei consumatori. A questo proposito il consumatore cinese sta risparmiando per prepararsi al peggior scenario, gli imprenditori privati stanno pensando a come sopravvivere durante questo inverno e gli investitori stranieri stanno considerando il Piano B che tra le cause vede la predominanza della continua interruzione della supply chain.
A questo punto della storia cinese di questi giorni viene da chiedersi: il sentiment dei consumatori del più grande mercato del mondo con una soglia di maturità rilevante se comparata ad altri mercati è cambiato repentinamente o questo atteggiamento inerziale è derivato da un processo di accumulazione maturato soprattutto nell’anno in corso attraversato da lockdown, segnali di disappunto, reazioni più circoscitte e non manifestate?
Negli anni passati bastava un provvedimento finanziario per rimuovere nell’immediato ostacoli che potevano pregiudicare lo sviluppo economico e condizionare il Pil facendo da volano nel mercato azionario, nei progetti di edilizia residenziale e commerciale e nel retail.
Oggi invece, nonostante siano stati emanati provvedimenti di sussidio per alimentare il livello di spesa ed i consumi, “nulla si muove” e le nuove regole di contrasto alla pandemia emanate e poi modificate nel giro di qualche giorno non hanno aiutato a risolvere l’incertezza psicologica.
Gli interventi circoscritti di microchirurgia covid zero stanno aumentando l’appannamento della visuale, nonostante alcune disposizioni in vigore da oggi che eliminano la richiesta di sottoporsi a test PCR per l’uso di mezzi pubblici o l’entrata in alcuni posti pubblici e potrebbero contribuire alla diminuzione del Pil. Goldman Sachs stimava che testare il 70% della popolazione ogni due giorni costerebbe 370 miliardi di dollari pari al 2,2% del Pil.
Il settore della ristorazione forse può dare qualche indicazione sul futuro. Secondo Qichacha, una delle società cinesi leader nelle informazioni societarie e di credito aziendale, da gennaio a novembre del 2022 hanno sospeso l’attività mezzo milione di ristoranti mentre hanno cessato definitivamente nei primi sei mesi un numero superiore al risultato del 2020. Chi oggi è organizzato fa solo il delivery e le strade sono piene di rider che corrono, incuranti delle regole del codice della strada per raggiungere il numero massimo di consegne giornaliere.
Ma ci si dimentica anche delle difficoltà in cui versa il mondo rurale e pastorale. Quella che in Italia è la naturale transumanza, oggi in Cina in alcune province non è permessa ed i capi di bestiame muoiono o vengono abbattuti per le rigide condizioni metereologiche e la scarsità di foraggio sia fresco che essiccato. Anche le colture che non sono state raccolte dovranno essere distrutte per far posto alle nuove semine. Nelle grandi metropoli globalizzate si ignorano queste problematiche che coinvolgono circa 800 milioni di persone.
Siamo stati abituati a scandire il tempo economico di questi ultimi vent’anni basandoci sui cicli economici direttamente o indirettamente connessi con la situazione globale. Se ne è avuto prova, specialmente nello scorso anno dove le variabili che compongono produzione e mercato hanno oscillato a favore di una situazione domestica o come conseguenza negativa di una congiuntura internazionale la cui analisi ha trovato fondamento nella scientificità delle teorie.
In Cina siamo stati testimoni di up and down e di stop and go per produzione, supply chain, vendite di beni di consumo o semidurevoli. A farla da padrone e dominus dell’universo cinese è sempre stato il real estate come fattore trainante e, per quanto riguarda il settore pubblico, sono stati gli investimenti destinati alle infrastrutture.
In questo contesto, sono state utilizzate le teorie Keynesiane afferenti gli investimenti governativi che potevano generare ricchezza ma oggi vale la pena di approfondire questa teoria generale riprendendo un concetto forse marginale e un po' relegato in secondo piano che ben s’attaglia alla situazione attuale cinese. “L’economia ha a che fare con l’introspezione e con i valori... con le motivazioni, le aspettative e l’incertezza psicologica,” scriveva Keynes nel 1938 a Roy Harrod, economista di cui ne fu allievo. Sono parole che vanno al di là della sua teoria economica ed oggi, se applicate alla Cina di oggi, confermano che le aspettative e l’incertezza psicologica dominano la quotidianità della sua popolazione. (riproduzione riservata)
*presidente di Savino del Bene Shanghai Co. Vive e lavora a Shanghai da oltre 25 anni