A oltre un mese dall’inizio del lockdown della città di Shanghai, cinta d’assedio dalla variante Omicron, è giunta quanto mai tempestiva la pubblicazione della seconda survey (Impact of Covid 19 on Italian companies in China, cicc_report_-_impact_of_covid-19_on_italian_companies_in_china_april_2022.pdf ), lanciata dalla Camera di Commercio Italiana in Cina, presieduta dal presidente Paolo Bazzoni, facendo riferimento ad un campione rappresentativo di circa 300 aziende pari al 40% degli associati prevalentemente ubicati nell’area dello Yangtze River Delta ovvero nella parte orientale della Cina più ricca.
A distanza della prima conclusasi a marzo, la fotografia che ne risulta oggi ha assunto toni e risvolti preoccupanti sia per il prolungato status di sopravvivenza dei manager italiani e delle loro famiglie che li obbliga ad una sorta di privazione quotidiana sia per la paralisi delle attività produttive.
Se in questi giorni i dati degli asintomatici e dei positivi sono vicino allo zero e quindi si auspica una riapertura della città con una normale libertà di circolazione delle persone, pare invece che la prudenza predomini e, al momento, non vi sono provvedimenti in itinere in tal senso ma solo una estensione della lista ad ulteriori 1.118 aziende in aggiunta ad una prima lista di 666 aziende già operante che, con rigidi protocolli, possano riaprire al termine di questa chiusura paradossalmente di vacanza in occasione della festività del 1 maggio.
Il fatto stesso che la periodica dichiarazione fiscale che cade ad ogni 15 del mese successivo a quello in oggetto sia stata posticipata al 31 di maggio per la competenza di aprile non lascia molte speranze di apertura.
Senza trascurare la situazione di Pechino dove in questi giorni di vacanza i mass testing continuano e si assiste alla completa chiusura della catena della ristorazione. Infine altre città, oltre quaranta, con drastiche riduzioni di mobilità e di attività produttive coinvolgono quasi 400 milioni di persone.
Anche le recenti dichiarazioni del Politburo di venerdì scorso confermano recisamente le direttive della zero-policy con una mitigazione strumentale della dynamic-zero policy.
Infatti, dal comunicato diffuso alla fine della riunione è emerso che ”la pandemia è stata contenuta, l’economia dovrà essere stabilizzata e lo sviluppo dovrà garantire la sicurezza. Il controllo della pandemia e lo sviluppo economico devono essere coordinati efficientemente in linea con il livello di trasmissibilità della variante Omicron”.
A conferma di quanto sopra, il 61% delle aziende degli intervistati italiani ubicati sul territorio cinese è ancora in lockdown con una punta del 77% per Shanghai e dintorni e quelle poche aziende che possono produrre si trovano a dover fare i conti con una assunzione di oneri di responsabilità che concernono i dipendenti i quali hanno l’obbligo di vivere in fabbrica secondo il dettame del close-up oltre alle sopravvenute criticità della catena di fornitura dei materiali in entrata e in uscita dei trasporti su gomma sino al porto o aeroporto. L’output produttivo è mediamente in ritardo di due settimane e per l’80% del campione vi è la previsione che i costi subiscano un incremento per unità di prodotto tra il 30 e il 50%.
Questo stravolgimento delle regole produttive, inizialmente sottostimato relativamente alle durate di fermata previste, oggi pone il problema della gestione futura ed infatti il 16% degli intervistati ha dichiarato di prendere in considerazione lo spostamento della propria attività fuori dalla Cina se persisterà questo modello o se saranno imposte condizioni che non permetteranno una normale prosecuzione di quelli che erano i piano aziendali.
Come sottostante diretto è prevista una diminuzione dei ricavi intorno al 20% e soprattutto una diminuzione dei profitti intorno al 50%. Infine il 36% non sa se la propria azienda avrà intenzione di proseguire gli investimenti ed il 48% ha comunque sospeso ogni decisione concernente il futuro.
Se questa è la rappresentazione di un processo che potrebbe assumere una connotazione degeneritiva alla quale le aziende non erano abituate considerando anche l’anno d’oro del 2021, gli intervistati hanno concentrato le proprie frustrazioni su tre aspetti, il primo dei quali riguarda i collegamenti con l’Italia che sono deficitari.
L’ultimo esempio in questi giorni riguarda la Neos, unica compagnia aerea legittimata ai collegamenti tra Cina e Italia che dovrebbe riprendere il servizio, sospeso da qualche mese, il prossimo 19 maggio con tariffe, gestite da CTRIP, che hanno costi improponibili per un biglietto di ritorno rispetto alle altre compagnie europee ed internazionali che operano nella tratta con la Cina senza far menzione dello schema di prenotazione che risulta farraginoso.
L’altro problema aperto sono gli incentivi municipali o governativi che al momento non sono stati ancora chiariti salvo l’utilizzo di quelli per le piccole imprese e per il rimborso dell’IVA che erano già stati annunciati nel gennaio 2022 a livello generale. Inoltre vi è una possibile riduzione sulle locazioni per coloro che hanno proprietari statali.
Infine la logistica che dà alcuni segni di vita nell’apertura ma che è ancora ingessata sia nei porti che nei trasporti su gomma e nella logistica territoriale. Maggio sarà foriero di novità? Al momento non sembra.
“In un primo tempo tutti avevano accettato di essere isolati dal mondo esterno come avrebbero accettato un inconveniente temporaneo che scombinava solo qualche abitudine. Tuttavia, consapevoli d’un tratto di essere come sequestrati... avvertivano confusamente che quella reclusione minacciava tutta la loro vita...” A. Camus, La Peste. (riproduzione riservata)
*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni