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Politica

Mossa a sorpresa di Biden, via i dazi con la Cina su 352 prodotti

Alla vigilia del vertice di Bruxelles per concordare le prossime mosse per promuovere la pace in Ucraina, il dipartimento del commercio americano toglie i dazi imposti da Trump su centinaia di prodotti cinesi. Decisione nel segno della distensione con Pechino o paura di nuove spinte inflazionistiche sull'economia?


24/03/2022 14:38

di Marco Leporati*

settimanale

A distanza di una settimana dalla videoconferenza, tra Xi Jinping e Biden, quest’ultimo, in coicidenza della sua visita odierna in Europa, ha deciso di delistare dalla famosa lista trumpiana del 2018 352 prodotti cinesi che beneficeranno dall’esenzione dei superdazi. Si tratta per lo più di elettrodomestici per la casa, biciclette, componenti per la produzione quali motori elettrici, attrezzature medicali, borse da viaggio, ma anche prodotti alimentari tra cui frutti di mare. Questo provvedimento avrà un effetto retroattivo a partire dall’ottobre 2021 ed una validità sino al dicembre 2022.

Correva infatti la primavera del 2018 quando la guerra commerciale propugnata da Donald Trump iniziava a sortire i primi effetti denunciati nel marzo dello stesso anno all’annuale conferenza di Boao, nell’isola di Hainan, dal Presidente Xi Jinping.

Da quel momento presero forma e consistenza le posizioni dei rispettivi Stati che hanno da un lato determinato il surriscaldamento delle relazioni tra Cina e Stati Uniti con le indirette conseguenze di natura produttiva e commerciale che hanno rappresentato negli anni a venire nei diversi Paesi i sottostanti economici accentuati poi dalla pandemia del 2020 e dal conflitto in corso.

Gli Stati Uniti avevano l’obiettivo, dichiarato da Trump in un famoso discorso nella Sala Ovale, di recuperare 300 miliardi che rappresentavano il valore dei due terzi delle importazioni totali e per fare ciò era stato calcolato un 25% di dazio suppletivo a carico di circa cinquecento prodotti cinesi.

La Cina, a sua volta, aveva imposto dazi accessori sui prodotti americani e nel periodo successivo, anche a seguito delle lamentele degli agricoltori ed allevatori americani, la Cina si era impegnata ad acquistare prodotti agro alimentari per un ammontare annuale di circa 200 miliardi di dollari: plafond mai utilizzato nella sua pienezza.

La storia è poi proseguita con le scaramucce della Cina nei confronti dell’Australia, alleata degli Stati Uniti, e così tra ricorsi alla Commissione del WTO (World Trade Organization) piuttosto che operazioni estemporanee di convenienza immediata siamo arrivati al 24 febbraio con lo scoppio del conflitto tra Ucraina e Russia, quest’ultima in rapporto privilegiato con la Cina.

Come leggere questa decisione? In prima battuta potrebbe apparire un escamotage correlato alla contingente situazione ma, compulsando le carte, si scopre che questo provvedimento è frutto di un periodo di “pubblico commento” raccolto nei mesi precedenti, a partire dall’ottobre scorso, dalla US Trade Representative (USTR) con un questionario inviato ad una platea di utenti sia con problemi con la supply chain sia per il retail piuttosto che per la produzione.

Questa attività ricognitiva si è svolta di concerto con la Casa Bianca per quanto riguarda le problematiche Covid e con altre agenzie americane, in accordo al Federal Register, per minimizzare l’impatto di eventuali dispute afferenti il rapporto supply chain e pandemia.

Uno degli aspetti che può diventare spunto di riflessione, a maggior ragione in questi giorni, è il fatto che per il Dipartimento del commercio americano all’epoca ”il focus della valutazione quale elemento scriminante è che un particolare prodotto rimane reperibile solo in Cina”.

Riteniamo che queste scarne parole siano state profetiche per perimetrare il problema che è esploso lo scorso anno e che ora sarà amplificato per le ragioni contingenti. Non solo per l’immediato ma anche a medio termine.

Ed è chiara che questa coincidenza temporale forse è stata voluta per evitare un futuro incerto ed altamente inflattivo. Sia gli Stati Uniti che l’Europa hanno visto l’indice inflattivo elevarsi negli ultimi mesi. Se poi questa esclusività dei prodotti diventa merce di scambio ad alto prezzo è possibile una crisi della catena del valore come mai avremmo potuto immaginare.

Paraddossalmente dal 27 febbraio al 20 marzo, secondo la piattaforma Container xChange, vi è stata una riduzione in Cina dei noli marittimi tra il 12% e il 18% che potrebbe prolungarsi sino all’avvio della peak season ma che nel contempo potrebbe non avere efficacia se i prodotti non saranno disponibili a causa delle fabbriche cinesi che stanno in alcune regioni viaggiando a ranghi ridotti per l’assenza forzata di personale in quarentena per la diffusione eccezionale della variante Omicron BA.2.

Questa “realpolitik” americana inizia, comunque vada, a comporre i tasselli del puzzle del futuro. La mossa americana potrebbe facilitare il commercio mondiale ma sul palcoscenico che oggi si è aperto altri primattori, comprimari e comparse si sono accalcati alla ricerca e con la speranza di un applauso. (riproduzione riservata)

*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni


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