Il Parlamento giapponese, la Dieta, ha ratificato l'accordo di libero scambio più grande del mondo, Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), che entrerà in vigore il prossimo anno, se verrà approvato dai parlamenti dei diversi paesi firmatari.
La camera alta nipponica (Camera dei consiglieri) ha dato oggi luce verde a un accordo che vede la partecipazione dei 10 paesi membri dell'ASEAN più la Cina, il Giappone, la Corea del Sud, l'Australia e la Nuova Zelanda.
Il partenariato, per creare il quale l'accordo è stato firmato a novembre dello scorso anno, punta a eliminare il 91 per cento dei dazi sulle merci, creando un'area di libero scambio che copre qualcosa come un terzo dell'economia mondiale.
La Cina aveva già ratificato a marzo l'accordo. Secondo le regole previste nel documento, perché esso entri in vigore, deve essere ratificato da almeno sei dei dieci firmatari ASEAN e tre tra i cinque non ASEAN, che comprendono anche Cina e Giappone.
In un contesto internazionale ancora caratterizzato da un duro conflitto commerciale tra Usa e Cina, da un lato, e da Cina e India a livello regionale, il fatto che alleati degli americani stiano creando un'area di libero scambio al di fuori dagli accordi commerciali con gli Usa rischia di creare un problema per Washington.
Non solo. La Cina ha chiarito di essere interessata a unirsi a un altro accordo di libero scambio, il Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (CP-TPP), erede di quel TPP che gli Usa nell'era di Donald Trump hanno abbandonato e che comunque è stato portato avanti dal Giappone, potrebbe rappresentare un'ulteriore ombra sull'influenza americana nella regione dell'Asia orientale.
Il governo giapponese ha stimato che l'entrata in vigore del RCEP contribuirà a un aumento del Pil nipponico del 2,7 per cento e creerà centinaia di migliaia di posti di lavoro.
L'accordo base è stato firmato il 15 novembre scorso fra dieci paesi dell’ASEAN, insieme a Cina, Giappone, Corea, Australia e Nuova Zelanda. Entrerà in vigore probabilmente nel 2022 e tra gli obiettivi principali vi sono quelli di creare un'area di cooperazione economica, mirando ad incrementare entro il 2030 il PIL mondiale di 209 miliardi di dollari e il commercio internazionale di 500 miliardi.
«È un accordo “figlio del Covid”, e dopo 8 anni di negoziazioni, ora nel 2021 segue la spinta di accelerazione della Cina. In questo senso, costituisce una risposta alla crisi economica globale favorendo i paesi del Pacifico in una regionalizzazione degli scambi», ha commentato recentemente Benedetto Latteri, Ambasciatore d’Italia in Indonesia e rappresentante italiano presso l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN), «dall’altra parte, il peso geopolitico degli Stati Uniti diminuisce, confermando un trend in calo che si stava delineando già da tempo. La Cina è il paese che beneficia di più di questo accordo, data la sua preponderanza economica e i numerosi investimenti esteri stimolati dalla BRI. Mirava da tempo ad una integrazione economica e commerciale per un maggiore coordinamento sulla BRI». (riproduzione riservata)