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Politica

Timori per la crescita in Cina, le banche Usa riducono le stime

Dopo i deludenti indicatori sul Pmi manifatturiero di inizio settimana, mercoledì anche il Pmi sui servizi ha frenato a sorpresa a 51,6 da 52,1 di luglio e sotto le attese. Il consensus degli economisti è che sarà difficile raggiungere il target del governo al 5%, tuttavia Pechino sta studiando le mosse per invertire la tendenza


04/09/2024 15:24

di Rossella Savojardo - Class Editori

settimanale
Li Qiang, primo ministro cinese

Ulteriori dati macroeconomici deludenti sulla Cina spingono gli analisti a rivedere le loro previsioni sulla crescita della seconda economia mondiale per il 2024. Dopo i deludenti indicatori sul Pmi manifatturiero di inizio settimana, mercoledì anche il Pmi sui servizi ha frenato a sorpresa a 51,6 da 52,1 di luglio e sotto le attese a 52,2. Anche se gli indicatori sullo stato di salute dell’economia del Dragone restano in area espansiva, gli analisti ritengono che Pechino rischi di non raggiungere l’obiettivo ufficiale di una crescita al 5% a causa del progressivo calo di fiducia nei suoi confronti.

Mercoledì Bank of America ha abbassato le sue previsioni al 4,8% dal 5%, mentre la banca d’affari canadese Td Securities ha tagliato al 4,7% dal 5,1%. Le mosse arrivano dopo che anche Ubs la scorsa settimana aveva ridotto le previsioni di crescita sul Dragone al 4,6% (dal 4,9% precedente) per quest’anno e al 4% al 4,6% per il 2025. 

Anche da Citi sono arrivati avvertimenti che indicano come l’obiettivo di crescita di Pechino, il più basso degli ultimi decenni, potrebbe essere a rischio. Stando al sondaggio di Bloomberg su decine di economisti intervista, la previsione mediana per la crescita del prodotto interno lordo per l’intero anno è scesa al 4,8%, rispetto al 4,9% di metà agosto. Il motivo della repentina frenata delle stime a settembre secondo gli analisti di Bank of America potrebbe essere riscontrabile nella crescita «stentata» del motore cinese nel secondo e terzo trimestre. Un elemento che si unisce al nodo della della fiducia in calo verso Pechino. Già a luglio, Goldman Sachs, Citi e Barclays avevano ridotto gli obiettivi di crescita per l’intero anno rispettivamente al 4,9%, 4,8% e 4,8%, rispetto al 5% del governo di Xi Jinping. JP Morgan prevede una crescita del 4,6%.

Il downgrade delle grandi banche mondiali riflette un consenso emergente tra le più grandi banche mondiali d’investimento sul rischio che Pechino possa effettivamente non raggiungere il target prefissatosi. Al contrario, il Politburo (che comprende i primi 24 funzionari del Partito Comunista al governo) è rimasto a raggiungere gli obiettivi di sviluppo economico e sociale di quest’anno che includono anche l’obiettivo di crescita. Ma il calo nel settore immobiliare sta pesando notevolmente sulla domanda interna e sulla fiducia. 

Secondo fonti riportate da Bloomberg, Pechino starebbe adesso valutando tagli in due fasi dei tassi d’interesse sui mutui per un valore di 5.300 miliardi di dollari, con l’obiettivo di abbassare i costi di prestito per milioni di famiglie e mitigare la stretta sui profitti del suo sistema bancario. A quanto si apprende, le autorità di regolamentazione finanziaria avrebbero proposto di ridurre i tassi sui mutui in essere di circa 80 punti base a livello nazionale, come parte di un pacchetto che include una tempistica accelerata per quando i mutui diventeranno idonei per il rifinanziamento. Il primo taglio potrebbe avvenire nelle prossime settimane, mentre il secondo potrebbe entrare in vigore all'inizio del prossimo anno.

 A fronte di questo impegno bisognerà capire come risponderà l’economia. Già lo scorso anno la Cina ha mancato l’obiettivo di crescita annuale nel 2022 (arrivando al 5,2%), quando i lockdown per il Covid e i cambiamenti di politica improvvisi hanno reso quell’obiettivo irraggiungibile. (riproduzione riservata)


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