Il 2019 di Henan Shuanghui si è chiuso con utili in crescita del 10,7%. Nonostante tutto. Il più grande produttore cinese di carni lavorate è stato più forte del calo delle vendite e dell’aumento vertiginoso della carne di maiale, materia prima principe delle proprie preparazioni. Come molti concorrenti anche il gruppo ha scelto di spostare i propri allevamenti all’estero, con l’intento di garantirsi carne a prezzi ragionevoli senza dover ricorrere alla produzione nazionale, sotto assedio da un anno e mezzo.
Dallo scorso gennaio il dilagare della pandemia di coronavirus con il suo carico di contagi, oltre 81mila, e almeno 3.292 morti, ha offuscato l’altra epidemia, quella di peste suina africana, che per tutto il 2019 ha tolto il sonno alla dirigenza cinese mettendo a rischio gli approvvigionamenti di uno degli alimenti base della Repubblica popolare simbolo per altro di ricchezza e prosperità. All’inizio di febbraio, quando la città di Wuhan, epicentro della diffusione del coronavirus, era già stata messa in quarantena, il ministero dell’Agricoltura è stato costretto a far ricorso a 10mila tonnellate di carne suina congelata, attingendo dalle riserve delle provincia dell’Hubei.
Le riserve strategiche di maiale sono uno dei grandi segreti di Stato della Cina comunista. Per capire l’importanza della mossa occorre sapere che nel 2018 i cinesi hanno consumato quasi 56 milioni di tonnellate di carne di maiale (29,8 chilogrammi procapite), molto di più dell’aggregato mondiale. Questo consumo è stato soddisfatto dall’allevamento sino al 2018 di circa 700 milioni di maiali, il 95% della produzione interna. Secondo i dati dell’ufficio nazionale di statistica la peste suina africana, i cui primi casi sono stati registrati nel Paese ad agosto di due anni fa, è costata un crollo di oltre un quinto della produzione domestica, scesa quindi a 42,6 milioni di tonnellate, numeri che si collocano leggermente sotto le stime più pessimistiche di Rabobank, che ad aprile dello scorso anno ipotizzava una perdita tra il 25% e il 35%. I numeri più aggiornati forniti dalla Fao contano 165 focolai in 32 fra province e municipalità nel Paese, che hanno costretto le autorità ad abbattere quasi 2 milioni di capi. È sempre l’istituto olandese in un nuovo aggiornamento delle previsioni a stimare in un ulteriore 15-20% il calo della produzione cinese per il 2020.
Pechino guarda ora alla discesa dei prezzi, con l’auspicio che possano portare a un rallentamento dell’inflazione, che a febbraio è scesa al 5,2% su base annua dopo l’incremento del 5,4% di gennaio (ai massimi da dieci anni) anche per le ripercussioni dei blocchi nella catena di distribuzione delle aziende a causa dell’epidemia di coronavirus.
La carne di maiale,il cui prezzo è più che raddoppiato a febbraio rispetto allo stesso periodo del 2019, è la voce principale del paniere cinese, contribuendo da sola a 3,2 punti percentuali degli incrementi dell’ultimo mese. Secondo la Commissione nazionale per le riforme e lo sviluppo, il principale organismo di pianificazione del Dragone, i prezzi stanno già iniziando a calare. L’ottimismo è dettato dall’incremento delle scrofe da riproduzione (+1,7% a febbraio), il quinto aumento consecutivo su base mensile.
Più cauti, sottolinea il settimanale economico finanziario Caixin, sono gli analisti di Nomura: dopo un calo a marzo l’inflazione si riporterà al 5% anche per effetto dei problemi nella catena di distribuzione globale. Nell’ultimo anno le autorità cinesi hanno cercato di correre ai ripari, incentivando la trasmigrazione della produzione dalle aziende su piccola scale a fattorie di dimensioni maggiori, attrezzate per prevenire malattie e meglio equipaggiate sul piano sanitario.
Molte società hanno già spostato gli allevamenti all’estero: il gruppo New Hope in Vietnam, mentre la Cofco Meat Holding, consociata del colosso statale Cofco, guarda con attenzione al Sud America, rileva la stampa locale. Lo scorso anno le importazioni sono cresciute del 67%, in particolare da Spagna e Germania, con l’intento di colmare il gap provocato dalla riduzione della produzione interna.
Gli effetti della peste suina si intersecano però ora con le ripercussioni della diffusione globale della pandemia di coronavirus. Con la domanda di carne importata ai massimi la Cina deve fronteggiare le limitazioni nel trasporto per contenere Covid-19.Il rischio maggiore è che possano fermarsi del tutto anche 114 mila unità mercantili che trasportano il 90% della merce venduta in tutto il mondo, con 2 milioni di lavoratori a bordo, 38 mila dei quali sono italiani. (riproduzione riservata)