MENU
Azienda Agricoltura

Lady Valpolicella punta alla Cina dopo aver conquistato i russi

Francesca Tinazzi, alla guida dell’omonima azienda vinicola che conta 50 etichette, ha avviato le esportazioni nel mercato del Dragone, sostenendole con una campagna educational, che è stata la chiave per avere successo con la Russia. L'azienda di Lazise, sul lago di Garda, realizza all'estero il 97% del fatturato


20/12/2019 12:52

di Carlo Valentini - Class Editori

lady
Francesca Tinazzi guida l'omonima azienda vitivinicola

Ha convertito i russi dalla vodka al vino e ora pensa già a come convincere i cinesi. A riuscire nell’impresa è Francesca Tinazzi, 40 anni, che col padre, 69 anni, e il fratello, 42, guida l’omonima azienda vinicola a Lazise, sul lago di Garda. La Russia è diventata il primo mercato, col 20% dei 23,5 milioni di euro di fatturato, realizzato con 45 dipendenti, il 97% dall’export, e anche quest’ultimo dato è un record per un produttore di vino.

Quest’anno ha venduto 4 milioni di bottiglie. Dice: «Facciamo in continuazione dei corsi in Russia per spiegare le caratteristiche e in che modo consumare i nostri prodotti, ormai anche i russi incominciano a distinguere le tipologie, per esempio il Valpolicella dall’Amarone, il Bardolino dal Primitivo, che sono i nostri quattro prodotti di punta. La stessa campagna educational stiamo cercando di avviarla in Cina, dove per altro siamo presenti da qualche anno e realizziamo già il 5% del fatturato».

È laureata in economia, ha incominciato a lavorare a Milano, alla società Autogrill, poi ha risposto all’appello del padre e si è inserita nell’azienda di famiglia, dove ha subito contribuito a realizzare quello che è diventato il fiore all’occhiello della cantina: «L’idea è stata quella di realizzare il fratello minore dell’Amarone, un vino che fosse meno impegnativo e meno costoso».

Così è nato, con la firma dell’enologo Giuseppe Gallo, da 25 anni in azienda, e l’etichetta Monte Re, il Valpolicella Ripasso. «In pratica aggiungiamo gli acini dell’Amarone dopo la pigiatura e li facciamo fermentare. Ha avuto talmente successo che tanti produttori ci hanno seguito», ha spiegato.

 D’altra parte che fosse predestinata alla viticoltura era già nel nome: i tinazzi, nell’antica tradizione veronese, erano recipienti simili a botti dove si metteva l’uva pigiata a fermentare. Racconta di quando il padre  ricevette un prestito, per ampliare la prima cantina, da un inglese che credeva in lui. «Nel giro di cinque anni mio padre ripagò il prestito con gli interessi ma il gentiluomo inglese gli rimandò indietro gli interessi accompagnati da una nota in cui diceva: agli amici non si pagano gli interessi».

A febbraio sarà inaugurata una nuova cantina in Puglia, su una struttura preesistente acquisita anni fa, in grado di imbottigliare 40 mila ettolitri di Primitivo (etichetta Imperio), Negroamaro, Malvasia nera. «Il Consorzio del Primitivo si sta rafforzando, speriamo raggiunga il livello di quello del Valpolicella, la forza di un Consorzio è oggi decisiva per la penetrazione di un vino. Inoltre il Primitivo intercetta il trend attuale: vino rosso, morbido, dal gusto accattivante, senza esagerare nella gradazione».

Nessuna linea biologica? «No, per il momento, perché riteniamo che se si seguono le regole il prodotto vada bene così. Tra l’altro mi domando come chi produce bio riesca ad avere tutti gli anni la stessa gradazione e la stessa qualità di vino. Ma non mi faccia entrare in polemica».

Le etichette in catalogo, comprese quelle pugliesi, sono 50. L’ultima nata è Opera Numero 3, un blend di uve dei vigneti di Puglia di 14 gradi che sta avendo successo negli Stati Uniti. Inoltre sono previsti investimenti nell’accoglienza: nel cuore della Valpolicella, a 600 metri d’altezza, è in corso di ristrutturazione un casale del 1700 con 5 stanze. «Vogliamo fare conoscere il territorio anche agli stranieri», dice, «perché oggi è importante raccontare l’origine del prodotto, la sua unicità. Noi per esempio non acquistiamo i lieviti sul mercato ma li abbiamo creati nel nostro laboratorio, con le nostre uve. Anche in questo modo difendiamo il marchio».

Il cambiamento climatico sta anticipando la vendemmia e consentendo vigneti ad altitudini fino a ieri impossibili. Ma nessuna paura per l'Italia: rimarrà leader, insieme ai francesi. «Sono ottimista, il vino non è replicabile, lo possiamo fare, in un certo modo, solo noi italiani, perché ci vuole il clima, la terra, una passione che viene da lontano», ha concluso Francesca Tinazzi, « può solo crescere se la sua immagine viene comunicata bene, nel modo giusto. È su questo che dobbiamo impegnarci».

© Riproduzione riservata


Chiudi finestra
Accedi