L'esposizione degli investitori globali verso asset cinesi è a livelli record, ma alcuni stanno iniziando a chiedersi se puntare così tanto sulla Cina sia o meno la scelta giusta. Riflessioni che nascono di fronte alle sempre più aspre relazioni internazionali tra Pechino e Washington, con gli Usa che condannano duramente la repressione degli Uiguri nella regione dello Xinjiang e il presidente Joe Biden che ha accusato la Cina per il cyber attacco al sistema Microsoft Exchange. Ma c'è anche la stretta da parte di Pechino sulle quotazioni dei titoli tech cinesi nei mercati dei capitali statunitensi, con il ritiro della app e l'indagine nei confronti del gruppo Didi sull'utilizzo dei dati, partita pochi giorni dopo la sua quotazione da 4,4 miliardi a Wall Street. Sulla questione si sta scatenando una vera e propria guerra delle matricole tra i due Paesi, con le merchant bank americane che in risposta alla stretta di Pechino starebbero pensando di spostare a Hong Kong le ipo delle società tech asiatiche, per non dover rinunciare alle ricche commissioni (460 milioni di dollari solo nella prima metà di quest'anno). Il problema e il rischio, per i mercati, è che questo processo di decoupling, ovvero il disaccoppiamento tra le due maggiori economie del mondo, si accentui e possa assorbire aziende e investitori in una dimensione di incertezza in cui la contraddizione tra politica e interessi finanziari diventerà più netta. E, secondo alcuni, le valutazioni non hanno ancora iniziato a riflettere questo rischio.
I rapporti internazionali e la stretta sulle tech sono due incognite, a cui se ne aggiunge una terza: la crescita cinese sta rallentando. Dirlo può far sorridere, dato che nel secondo trimestre del 2021 il pil della Cina è cresciuto del 7,9%, ma nel primo l'espansione era stata del 18,3% (anche se il dato è drogato dal fatto che a inizio 2020 il Paese era in lockdown totale). In realtà, in Cina il rimbalzo economico dopo lo shock del Covid era arrivato prima che in ogni altra parte del mondo, già nella seconda metà dello scorso anno, e quindi l'attuale calo del ritmo di crescita è fisiologico. Inoltre, gli ultimi dati macro legati al commercio dimostrano che la corsa del Dragone non sembra certamente volersi fermare: a giugno, le esportazioni della Cina sono cresciute del 32,2%, rispetto all'analogo periodo 2020, e anche le importazioni del 36,7%, a fronte del 25,6% stimato dagli analisti.
Il dato sull'import sembra indicare la floridezza dell'economia domestica cinese. Il merito è anche della rapida ascesa della campagna di vaccinazione anti-Covid nel Paese con circa due terzi della popolazione (1,4 miliardi di persone) che ha ricevuto almeno una dose e il presidente Xi Jinping che ha fissato l'obiettivo del 40% della popolazione pienamente vaccinata entro la fine del mese. Anche se potrebbe sorgere un problema: un recente studio a Hong Kong ha rilevato che il vaccino mRna di Pfizer-Biontech produce livelli di anticorpi 10 volte superiori a quelli dopo l'iniezione di Sinovac (usato in Cina) e ciò potrebbe aprire un divario tra le nazioni che usano vaccini mRna (Usa ed Europa) e quelle che non lo fanno, come la Cina. In ogni caso, «una campagna vaccinale più rapida del previsto», segnala David Rees, senior emerging markets economist di Schroders, «potrebbe fornire un grosso supporto alla crescita dei consumi domestici, che finora è rimasta indietro rispetto al rimbalzo dell'economia più generale».
Uno scenario geopolitico e macroeconomico come quello appena descritto si è inevitabilmente riflesso sui mercati in questa prima metà del 2021. I listini cinesi sono tra i peggiori da inizio anno per andamento e le performance attuali sono molto lontane dal rally dello scorso anno. Sono soltanto cinque gli indici settoriali in territorio positivo quest'anno e con rialzi contenuti. Qui spiccano le utility e le società legati all'energia e all'electricity. Se le performance dei listini cinesi sono deludenti, è dovuto al fatto che molto del loro peso è concentrato su società tech e colossi, come per esempio Alibaba, che sono inevitabilmente esposte alla situazione di tensione con gli Stati Uniti. Di conseguenza ci sono altri titoli e altri settori che ne stanno approfittando per affermarsi come vincitori in questa fase, a cominciare dagli industriali correlati alla transizione green, grande sfida del governo di Xi.
Ma proprio le nubi sulla regolamentazione tecnologica cinese stanno rendendo le valutazioni dei titoli allettanti. «A seguito della significativa underperformance delle azioni tech cinesi rispetto a quelle Usa», segnala Vladimir Oleinikov, senior quantitative analyst di Generali Investments, «le valutazioni del settore sono diventate più interessanti. In termini di price/earnings (p/e), le azioni tech cinesi vengono scambiate a livelli leggermente inferiori a quelle Usa (26x contro 28x). Considerando la crescita degli utili a lungo termine, il settore China Tech appare ancora più interessante».
Il trend a cui si è assistito in questi mesi è un passaggio dai titoli tecnologici ad altri settori ben esposti al mercato interno della Cina, come l'industria, la sanità e i consumi interni. Tutti settori in grado di veicolare i grandi trend di sviluppo demografico e socio-economico della Cina, senza essere esposti agli scossoni geopolitici e alle crescenti tensioni internazionali. Non a caso il mercato cinese rimane un terreno molto fertile per la selezione di titoli. «Le oltre 5.200 quotate cinesi rappresentano un'enorme miniera di opportunità», prosegue Wenli Zheng, «ma molti investitori si concentrano solo sui titoli con una capitalizzazione superiore ai 30 miliardi di dollari. Il 60% dei fondi attivi cinesi è investito in quel 2% di titoli, mentre il restante 98% rimane un territorio inesplorato o quasi, ma in questo segmento si possono trovare distorsioni di prezzo e potenziali gemme nascoste». Il presidente Xi ha svelato altri dettagli sul piano di transizione energetica e già oggi la Cina produce il 70% dei pannelli solari a livello mondiale, il 50% dei veicoli elettrici e un terzo di tutte le turbine eoliche. «La transizione a un'economia più sostenibile offre un vento di coda all'industrializzazione. Crediamo vi sia un reale vantaggio nel guardare al di là delle mega cap. Con le large cap che ora scambiano a premi storicamente elevati rispetto alle small cap, crediamo che un'inversione sia giustificata», conclude Wenli Zheng. (riproduzione riservata)