La Cina continuerà a essere il driver del lusso? Da diversi anni il mercato cinese mostra di essere il vero motore di crescita del settore fashion&luxury, ma l’evoluzione della situazione politico-sociale sta moltiplicando gli interrogativi sul futuro del Paese e sulle scelte che dovranno prendere i marchi moda e lusso.
A novembre i nuovi casi di Covid-19 hanno toccato i massimi assoluti su base quotidiana dallo scoppio della pandemia di inizio 2020. Secondo gli aggiornamenti della Commissione sanitaria nazionale, le infezioni domestiche si sono attestate oltre le 30 mila unità. Da quel momento i dati ufficiali sono stati molto più contenuti e probabilmente non riflettono la gravità della situazione, intuibile però da alcuni segnali indiretti e dalle testimonianze raccolte dai giornalisti stranieri e postate sui social network.
A Pechino, Shanghai e in altre grandi città cinesi ospedali, fabbriche e aziende dei trasporti hanno segnalato grandi problemi di personale, causati dalla diffusione dei contagi, dopo il cambio di approccio alla malattia del governo centrale. Dopo anni di lockdown e misure restrittive rigidissime, a partire dal 6 dicembre Pechino ha deciso infatti di abbandonare la strategia «zero Covid», che puntava a evitare del tutto i contagi. Esperti ed epidemiologi, alla luce di ciò sto accadendo, prevedono per il periodo invernale tre nuove ondate.
L’attuale picco di contagi dovrebbe durare fino a metà gennaio, mentre la seconda ondata verrebbe innescata dai viaggi di massa a partire dal 21 gennaio durante le celebrazioni del Capodanno lunare che durano una settimana. In questo periodo, solitamente, milioni di persone viaggiano per trascorrere le vacanze con la famiglia. La terza ondata è invece prevista da fine febbraio a metà marzo, quando le persone torneranno al lavoro dopo le vacanze.
Quanto tutto questo inciderà sulla performance dell’industria del lusso è materia di dibattito. «A oggi la gestione locale della pandemia prevede ancora forti restrizioni, che coinvolgono città strategiche per il settore come Shanghai e Pechino», hanno spiegato a MFF Guia Ricci e Filippo Bianchi, entrambi managing director e partner di Bcg-Boston consulting group.
L’evoluzione di questo scenario è incerta e, di conseguenza, molti player stanno rivedendo al ribasso le stime per il mercato cinese. I rischi riguardano principalmente l’incertezza dei consumatori, la crescente necessità di chiusura dei punti vendita e, in generale, le difficoltà gestionali in tema di operations e supply chain.
Durante la pandemia del 2020, la Cina ha rappresentato il 25% delle vendite globali del settore, davanti agli Stati Uniti e all'Europa, rispettivamente con il 20% e il 22%, con un pil che in soli dieci anni è passato da 8,5 trilioni di dollari a 17,7 trilioni.
Ma ad aprile la banca Hsbc ha stimato vendite retail in calo del 40% su base annua e del 50% nel mese di maggio a causa delle chiusure dei negozi. Oltre la minaccia di ulteriori focolai Covid, la situazione è aggravata dal fatto che alcuni consumatori cinesi stanno iniziando a preferire i marchi nazionali rispetto alle loro controparti estere.
Questa scelta si è tradotta, per esempio, con una diminuzione del 24% delle vendite di sneakers di brand stranieri su e-commerce locali come Tmall, con un aumento del 17% delle vendite di sneakers di brand local.
Nel frattempo, la disparità di reddito in Cina si sta ampliando e la disoccupazione giovanile è in aumento, mettendo a rischio l’equilibrio di crescita del pil. Rimangono comunque solide le proiezioni di sviluppo a lungo termine che, entro il 2040, prevedono un prodotto interno lordo da 47 trilioni di dollari.
Tuttavia, gli analisti hanno notato che nella categoria abbigliamento, la quota di mercato dei marchi stranieri tra i primi 20 marchi in Cina si è ridotta dal 47% al 40% dal 2013 al 2021 e lo stesso fenomeno si sta verificando anche nei mercato del beauty. A riscontrare il maggior successo nel biennio 2020-2022 sono stati soprattutto il marchio di cura della pelle Proya, il brand di fragranze To Summer e quello dei cosmetici Florasis, che ha recentemente avviato un piano di investimenti da 158 milioni. (riproduzione riservata)