Cina, investimenti, successione: il futuro della maison sta prendendo forma come il ceo, Alfonso Dolce, fratello dello stilista e fondatore Domenico, ha spiegato a MFF in occasione del lancio della collezione La via della seta, omaggio alle culture cinese e italiana, parlando del ritorno nell’ex Celeste impero dopo l’affaire del novembre 2018 e degli investimenti sulla produzione in Italia che vedranno il rafforzamento dei laboratori per avere un livello di servizio a chilometro zero.
Domanda. In questi giorni celebrate l’anno della cultura e del turismo Italia-Cina e il 50esimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi con una speciale iniziativa. Da cosa è nato questo progetto?
Risposta. Le fondamenta risalgono al 2019. A febbraio dello scorso anno abbiamo organizzato una visita culturale in Cina di tutto il primo livello italiano e internazionale di management della Dolce&Gabbana. Abbiamo visitato le città di Xi’an, Pechino e Shanghai. In questa occasione, oltre a conoscere il territorio, abbiamo avuto incontri con rappresentanti istituzionali del sistema paese. Successivamente, a marzo, abbiamo seguito la visita della delegazione di Xi Jinping in Italia e a novembre siamo stati ospiti di China International Import Expo a Shanghai con uno stand di 400 metri quadrati. Siamo rimasti sorpresi da quanta curiosità abbiamo attratto illustrando i codici del brand anche attraverso la presenza di alcuni artigiani. Tutto ciò ci ha aiutati a capire quante sono le affinità tra Dolce&Gabbana e la cultura cinese.
D. In cosa consiste questo nuovo progetto?
R. Una collezione di foulard in twill di seta e in cashmere con otto disegni dedicati alla Via della seta e a Marco Polo che saranno protagonisti nelle
boutique italiane, cinesi e internazionali con il supporto della segreteria generale delle due ambasciate.
D. Come vi siete mossi in Cina?
R. Siamo presenti dal 2003. Oggi contiamo 45 store diretti, 13 in franchising e abbiamo 1.200 dipendenti, tutti cinesi. Grazie alle tante affinità tra le nostre culture abbiamo avuto modo di crescere e di diventare quello che siamo oggi, nonostante l’incidente di novembre 2018.
D. Qual è adesso la reazione dei consumatori cinesi?
R. Molto buona. Abbiamo avuto un calo importante subito dopo. Di quel calo oggi abbiamo già recuperato ampiamente un 50% e, secondo le nostre previsioni, rientreremo di quanto perso entro l’anno fiscale che si concluderà a marzo 2021. Siamo molto fiduciosi perché quanto è successo ci ha permesso di ripartire con un’attenzione diversa sul mercato con ulteriore elevazione di servizio al cliente e su quello che vuole essere il marchio in Cina.
D. Allora si diceva che la Cina pesasse molto sul vostro fatturato...
R. La quota totale della Cina sul fatturato mondo era il 20%, pari a quasi 260 milioni di euro. Ne abbiamo persi circa 120 milioni e già recuperati 60. Quello che abbiamo perso veramente è stato il fattore tempo ovvero la mancata crescita aggiuntiva ma confidiamo di poter fare meglio. Come società, abbiamo un valore etico molto forte ed entro l’estate si saprà di più su quell’incidente.
D. Come prevedete di chiudere l’esercizio fiscale a marzo 2020?
R. A 1,3 miliardi rispetto ai precedenti 1,349. La perdita della Cina è stata compensata dal recupero su altre aree. Andrà un po’ meno bene l’ebitda (pari al 6,4% a marzo 2019, ndr.) perché non abbiamo fermato nessun investimento.
D. A cosa vi è servito quanto è accaduto?
R. Dagli errori si impara, si cresce e ci si rafforza.
D. Avete appena affrontato il tema del futuro della società. Qual è il piano di successione?
R. Il progetto dei due fondatori, Domenico Dolce e Stefano Gabbana, è quello di scrivere un pezzo di storia del costume, della moda. Partendo da questo messaggio, è da sempre stato importante garantire una continuità non solo stilistica ma anche di organizzazione e di capitale umano. Capitale umano inteso come quello dei fondatori, della famiglia vicina e di tutte le persone che fanno parte dell’azienda.
D. Come sono ripartite le quote societarie?
R. La Dolce&Gabbana holding è detenuta con una quota paritetica del 40% da Domenico e Stefano. Il restante 20%, equamente suddiviso, appartiene a me e a mia sorella Dora. Ma siamo una famiglia unica. Esiste solo il progetto Dolce&Gabbana.
D. L’essere indipendenti vi ha permesso di fare scelte strategiche radicali, come la chiusura della linea D&G...
R. Dal 2005 al 2012 abbiamo investito nella linea a livello economico ma soprattutto umano. Con la sua chiusura non abbiamo lasciato a casa nessuno ma riqualificato le persone per permettere alla Dolce&Gabbana di fare un salto di qualità sia nel ready to wear sia nelle alte artigianalità. Ad esempio con le botteghe dei mestieri circa. In questo momento stiamo iniziando a sviluppare un progetto di mestieri d’arte per gli interni per creare competenza sul ciclo completo del capo. Questo perché abbiamo alzato il livello di servizio al cliente per avere tutto a chilometro zero.
D. Quanto coraggio ci vuole per affrontare il mercato odierno?
R. Ci vogliono coraggio, forza e indipendenza. Quella indipendenza di stile e di azienda a tutto tondo che è la carta vincente per poter fare ciò che ritieni più idoneo per il consumatore, che oggi è il tuo unico padrone. È lui che decreta il tuo successo.
D. Quanto producete ora internamente in maniera diretta?
R. Intorno al 15-20% anche se la quota crescerà un po’. Comunque l’indotto che lavora per noi è composto da una rete di laboratori con i quali abbiamo costruito un rapporto di grande fiducia. Sono completamente integrati nel nostro sistema.
D. Come si compone la vostra filiera? Quanti dipendenti avete in Italia dedicati alla produzione?
R. In totale 1.200 persone tra le varie sedi. Il prossimo anno pensiamo di integrare su Milano con nuovi spazi dedicati alle eccellenze di Alta moda e Alta sartoria, creando dei laboratori tra via Bellotti e via Kramer. Inoltre in primavera avvieremo i lavori di ampliamento di un’azienda interamente dedicata alla produzione di capispalla, acquistata quasi cinque anni fa vicino a Padova e che passerà da 4.500 a circa 15 mila metri quadrati.
D. È vero che pensate di raddoppiare il peso dell’alta moda che ora incide per il 4,5% sui ricavi in cinque anni?
R. Sicuramente e fa parte del nostro percorso. Noi pensiamo a lungo termine.
D. Qual è il futuro del marchio?
R. La risposta è la stessa di 35 anni fa. La nostra missione è scrivere un pezzo di storia della moda. (riproduzione riservata)