Sono serviti decenni. Venerdì 15 marzo l’Assemblea nazionale del popolo cinese ha approvato la nuova legge sugli investimenti stranieri che unifica le normative esistenti sulle imprese estere e le joint venture affrontando temi centrali per gli investitori stranieri come parità di trattamento con le realtà locali e i trasferimenti forzati di tecnologia.
«Una legge importante nella direzione di un mercato più aperto, e più equo anche per gli investitori stranieri, benché ci siano ancora riserve sui dettagli, evidenziate nei commenti alle bozze della Camera di commercio dell’Unione europea in Cina», commenta Renzo Cavalieri, of counsel di BonelliErede, vicepresidente della Camera di commercio italo-cinese e professore associato alla Ca’ Foscari di Venezia, specializzato in diritto cinese. «Adesso occorrerà attendere in che modo il sistema accoglierà le modifiche. Il persistere di assenza di reciprocità e lo sbilanciamento commerciale non sembra sostenibile sul medio-lungo periodo. Ritengo la legge un passo verso la strada che la Cina intende intraprendere nel suo nuovo ruolo globale».
Le nuove norme appaiono quindi come un tassello dell’inedito quadro che il Paese sta delineando anche con iniziative come lo sviluppo della nuova Via della Seta. «In questa fase», aggiunge Cavalieri, «le aziende italiane attive nei servizi o nella tecnologia hanno l’opportunità di offrire servizi a controparti cinesi in Paesi nei quali queste ultime a volte ancora mancano delle infrastrutture di servizio necessarie. Penso a Paesi come l’Etiopia o l’Egitto, dove gli italiani possono contare su avamposti consolidati». Nel contesto di collaborazione sulla Via della Seta può rivestire un particolare interesse Chongqing, municipalità nell’Ovest del Paese, sede del quarto consolato italiano. «L’Ovest della Cina è sempre stato trascurato, lì lo sviluppo è recente», sottolinea, «Chongqing oggi sta esplodendo».
La megalopoli è indicata tra le tre aree prioritarie di indirizzo degli investimenti industriali italiani. «Merito dalla volontà cinese di riequilibrio dello sviluppo nazionale, sbilanciato verso le aree costiere, e della strategia verso l’Asia Centrale, dove possono nascere opportunità di collaborazione italo-cinese». Tali sviluppi rendono necessari anche strumenti per dirimere eventuali dispute.
Nei giorni scorsi lo stesso Cavalieri ha presentato alla comunità legale milanese il centro di mediazione italo-cinese che coinvolge la Camera arbitrale di Milano, la Camera di commercio italo cinese e il China Council for the Promotion of International Trade. L’istituto «riveste un ruolo di mediazione delle controversie bilaterali che garantisce assistenza dal lato sia italiano sia cinese. «È una via meno costosa dell’arbitrato e meno ostile rispetto a quella giudiziaria, che in Cina sconta difficoltà di terzietà e non piena indipendenza. Soprattutto rispetto all’arbitrato permette, trovando una mediazione, di mantenere un rapporto con la controparte senza andare allo scontro, potendo quindi continuare a fare affari». (riproduzione riservata)