Il prossimo primo gennaio sarà in vigore con efficacia normativa il RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership), che crea un'enorme area di libero scambio in Oriente coinvolgendo quindici Paesi dell’area del Pacifico, tra cui la Cina, di cui dieci membri dell’Asean (Associazione delle Nazioni del Sudest asiatico): per dieci di essi gennaio sarà l’avvio e per gli altri cinque sarà vincolante sessanta giorni dopo la ratifica di ogni singolo governo. La scadenza arriva 15 giorni dopo il ventennale, celebrato in sottotono, dell’entrata della Cina nel WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio estero.
È un cambio di staffetta o una regola dell’alternanza? La richiesta di adesione al WTO da parte della Cina era partita nel 1986, seguendo di qualche anno l’apertura verso l’Occidente voluta da Deng Xiaoping nel 1981. Come previsto dal regolamento era stata necessaria l’adesione del consenso da parte dei 142 membri dell’Organizzazione sulla base di un accordo di circa 900 pagine.
A quel tempo, il Premier Zhu Rongji, in un suo viaggio a Washington nel 1999, aveva espresso soddisfazione per la futura entrata del proprio Paese nel WTO, motivandola come il volano per accelerare le riforme all’interno della Cina e per la modernizzazione dell’economia.
Bill Clinton, da parte sua, nel corso di una sua visita a Pechino l’anno prima, aveva ribadito che l’entrata della Cina nel WTO sarebbe stata "una strada a senso unico" per una grande liberalizzazione economica all’interno del Paese e contestualmente si sarebbe dovuta considerarla un potenziale catalizzatore per una convergenza politica con l’Occidente.
Sull’onda emotiva della convergenza tra Cina e Occidente, fece sensazione la visita nel settembre 1995 di Hillary Clinton a Shanghai con un incontro al Portman Hotel - oggi Ritz Carlton, roccaforte della allora presenza americana in Cina - dopo che aveva partecipato alla Conferenza mondiale non governativa sulle donne a Pechino, per ribadire i concetti di apertura e di speranza nel futuro assetto geopolitico.
L’entusiasmo di allora ha certamente portato un grande beneficio negli anni a venire. Con le sole eccezioni di un breve intervallo nel 2003 a causa dell’insorgenza della SARS 1 e del 2008 per la crisi finanziaria, la Cina ha preso il volo attirando in quella prima fase investimenti destinati alla produzione in funzione prevalente dell’esportazione.
Gli scambi internazionali cresciuti più di nove volte rispetto ai volumi del 2001 ne hanno beneficiato. Inoltre, quando la Cina è entrata nel WTO, la sua collocazione nella classifica mondiale la vedeva al 16° posto; ora è sul podio seconda solo agli Stati Uniti, con un market share mondiale nell’export del 15% rispetto al 4% di vent’anni fa e così pure nell’import, da un 4% ha raggiunto il 12%.
La Cina nel corso di questi anni ha modificato 2300 regolamenti per uniformarsi alle direttive del WTO. Con l’America, sua diretta rivale, dopo un periodo armonioso durato una quindicina di anni, si sono incominciate a mostrare le prime incrinature con l’avvento al potere di Donald Trump nel 2016.
A conferma di quanto scriveva Tolstoi in Anna Karenina, che «tutti i matrimoni felici si somigliano, ogni matrimonio infelice è infelice a modo suo», l’avanzata tecnologica della Cina è stata una delle ragioni principali che ha avuto come conseguenza l’introduzione dei dazi in importazione su molte commodities ritenute anche strategiche e il divieto ad operare per società cinesi come ZTE e Huawei che hanno innescato un processo a catena che ha trainato altri Paesi tra cui l’Australia.
Va aggiunto che la politica trumpiana ha condizionato le strutture decisorie del WTO e nel 2019 l’organismo della Camera Arbitrale era in una fase di impotenza in quanto i membri dimissionari non erano stati sostituiti e il Governo americano in forza delle norme della Sezione 301 del Trade Act del 1974, aveva pieno diritto ad una azione autonoma del Presidente in carica ad attivare ricorsi con la conseguenza del venire meno del concetto di multilateralità.
Il resto è storia di questi giorni: il Covid, le criticità dei trasporti e della logistica, le difficoltà delle supply chains e la rincorsa alle Terre rare.
Questa sorta di notte polare ha creato nell’area del Pacifico per la legge del contrappasso il RCEP, che non va interpretato meramente come un accordo di libero scambio in un’ottica di investimenti, di crescita territoriale e facilitazione del trading in un perimetro circoscritto di Nazioni, ma dovrebbe essere considerato come il vero prototipo di un recupero o forse di una rivalsa commerciale e culturale del Sud Est asiatico.
Infatti il termine globalizzazione, nella sua accezione più comune è stato considerato portatore di valori occidentali e qualcuno l’ha interpretato come "westernalizzazione". I flussi erano chiari ed evidenti: verso la Cina si esportava tecnologia, beni, servizi e modelli culturali (di massa); le catene americane ed anche europee avevano come obiettivo la presa di possesso di un mercato potenziale.
Gli esempi sono innumerevoli, dall’apertura del primo McDonald a Pechino con le controversie giuridiche per la sua localizzazione nei pressi di Piazza Tianammen a Starbucks con le sue migliaia di coffeshops e a seguire le catene di retail, Zara, H&M, Carrefour.
Nel contempo, specialmente negli ultimi anni, il magma del sottosuolo asiatico ritrovava un suo slancio e si vivificava sia economicamente che culturalmente sostenuto anche da una sorta di nazionalismo in continua crescita.
Joshua Cooper Ramo, ceo di Sornay advisory capital, ha sintetizzato lucidamente quanto sta accadendo. «La globalizzazione ha avuto una specifica topologia: il dominio del dollaro disegnato da Washington ma la deglobalizzazione è una reazione troppo aperta e troppo veloce; vi è un nuovo modello che sta emergendo: la re-globalizzazione. A Washington molti non la percepiscono ancora ma la battaglia è in corso», ha spiegato.
E in questa battaglia vi sono tre elementi che confermano questa marcia: il successo planetario di Squid Game e delle serie coreane denominate K-drama che si estende anche al settore musicale del K-pop; l’espansione e l’utilizzo di Tik Tok negli Stati Uniti ed infine il fenomeno Shein nel settore del fast fashion, società cinese a forte capitalizzazione che sta prendendo il soppravento nel retail online e offline.
Come scriveva Benedetto Croce "la storia è sempre contemporanea" ma questa volta il baricentro della stessa si è radicalmente spostato verso Oriente.
L’Europa è nel mezzo ma in questo momento in aggiunta alle penurie di microchips, o di merce sugli scaffali del retail, deve lottare per garantire nel "General inverno" l’approvvigionamento di gas naturale visto che la Russia privilegia l’Oriente.
L’incontro in presenza tra Xi Jinping e Putin in occasione dell’inaugurazione delle Olimpiadi invernali suggellerà sicuramente questo erratico spostamento. (riproduzione riservata)
*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni